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La trombosi in gravidanza è più frequente in soggetti geneticamente predisposti

Trombosi in gravidanza: tutto ciò che bisogna sapere

La comparsa di una trombosi in gravidanza è un problema da tenere certamente in considerazione quando una donna si appresta ad affrontare la gestazione.
Le donne in gravidanza, infatti, hanno un rischio cinque volte maggiore di sviluppare una trombosi rispetto alle donne non gravide, e nei paesi occidentali la trombosi in gravidanza è la principale causa di morte materna.

È importante che le donne conoscano questa patologia, che peraltro desta molta preoccupazione anche nella popolazione generale.
Infatti, conoscere la propria situazione di rischio e saper rilevare eventuali sintomi permetterà di agire rapidamente e con efficacia, qualora si verificasse il problema.

Che cos’è la trombosi in gravidanza

La trombosi in gravidanza è un processo di coagulazione improvvisa del sangue all’interno di una vena, che avviene nel periodo della gestazione.
Questa condizione clinica interessa più frequentemente le vene degli arti inferiori, sia superficiali che profonde, ma può colpire anche le vene della pelvi, cioè la parte bassa dell’addome.

Il motivo principale per cui la trombosi è pericolosa è legato alla possibilità di una embolia.
Gli emboli sono dei frammenti di sangue coagulato che si staccano dalla sede di trombosi e seguono il flusso del sangue, che li veicola prima al cuore e poi ai polmoni, dove terminano la loro corsa ostruendo i vasi della circolazione polmonare.
La comparsa di una embolia ai polmoni si manifesta con dolore al torace e difficoltà a respirare, ed è una complicanza grave che può essere anche mortale.

Il secondo fattore di pericolosità legato alla trombosi in gravidanza è il possibile sviluppo di una sindrome post trombotica.
Questa condizione clinica è caratterizzata da un gonfiore ingravescente della gamba dovuto all’esteso danneggiamento che la trombosi causa alle vene, che diventano incapaci di drenare il sangue.

La sindrome post trombotica compare con maggiore frequenza se la trombosi interessa le vene iliache o femorali, evenienza che tra l’altro è particolarmente frequente in gravidanza.
Se non trattata precocemente, la sindrome post trombotica diventa irreversibile e può causare la comparsa di fibrosi e ulcere alle gambe.

Cause della trombosi in gravidanza

Il rischio di trombosi in gravidanza è dovuto all’aumentata facilità con cui il sangue coagula all’interno delle vene.
Ci sono persone più predisposte di altre alla trombosi in quanto presentano determinati fattori di rischio, sia legati alla genetica che ad eventi patologici ambientali.
In presenza di fattori di rischio, la possibilità di sviluppare una trombosi è la stessa in tutti e tre i trimestri della gravidanza, e diventa addirittura più alta nelle prime sei settimane dopo il parto.

In generale, la trombosi all’interno di una vena si sviluppa in conseguenza di tre meccanismi:
– ristagno di sangue;
– alterazioni delle cellule della parete venosa;
– modificazioni nei componenti del sangue che attivano la coagulazione.
In gravidanza sono implementate tutte e tre queste situazioni.

Primo, durante la gravidanza si verifica un persistente ristagno del sangue nelle gambe e nella pelvi a causa dell’azione degli ormoni sessuali femminili, che riducono il tono delle vene facendo diminuire la loro attività propulsiva.
Inoltre, il progressivo ingrandimento dell’utero gravidico crea un ostacolo meccanico al ritorno di sangue al cuore, aggravando la situazione.
A causa di fattori anatomici, l’arto inferiore sinistro è più colpito da questo fenomeno, in quanto la vena iliaca sinistra passa dietro la sua arteria satellite, che la schiaccia.

Secondo, al momento del parto le vene pelviche possono subire un danneggiamento meccanico a causa della spinta espulsiva del feto, sviluppando una trombosi.
La trombosi delle vene pelviche, peraltro, è piuttosto rara al di fuori della gravidanza.

Il terzo fattore favorente la trombosi in gravidanza è il più importante. Lo sviluppo di iper-coagulabilità del sangue è dovuto alla necessità, da parte dell’organismo, di fronteggiare il rischio di emorragie legate al parto. Ricordiamo, infatti, che nei paesi sottosviluppati l’emorragia è la principale causa di morte materna.
Sotto lo stimolo ormonale, la donna in gravidanza produce una maggiore quantità di proteine della coagulazione, sviluppando di conseguenza una forte suscettibilità del sangue a coagulare.

Sintomi della trombosi in gravidanza

Se la trombosi in gravidanza interessa le vene superficiali delle gambe, i sintomi principali sono il dolore e l’arrossamento lungo il decorso della vena.
Inoltre, spesso in gravidanza compaiono delle vene varicose, a causa dell’azione ormonale e dell’ingrossamento dell’utero, ed è noto che le vene varicose sviluppano più facilmente una trombosi rispetto alle vene sane.

Una trombosi in gravidanza può essere legata alla presenza di vene varicose

Quando sono colpite le vene profonde delle gambe, invece, il rischio di embolie polmonari è statisticamente più alto.
I sintomi più comuni, in questo caso, sono il gonfiore o il dolore acuto ad una gamba, spesso presenti contemporaneamente; altre manifestazioni possono essere l’arrossamento o la difficoltà a camminare.

Come già detto, in gravidanza aumenta l’incidenza di trombosi della vena iliaca, una grossa vena della pelvi che raccoglie tutto il sangue dell’arto inferiore corrispondente convogliandolo alla vena cava inferiore, che a sua volta lo porterà al cuore.
Una trombosi iliaca può manifestarsi con dolore addominale o dorsale e con gonfiore acuto che interessa tutto l’arto; siccome questi sintomi possono essere ricondotti alla gravidanza stessa, a volte capita di non riconoscere una trombosi iliaca e ritardandone la diagnosi.
In gravidanza, infatti, le gambe tendono a gonfiarsi per l’ostruzione linfatica causata dalla crescita del feto, mentre il dolore pelvico o dorsale può essere correlato all’azione meccanica dell’utero che agisce come un peso.

Come si diagnostica una trombosi in gravidanza

Se compaiono sintomi suggestivi di trombosi in gravidanza, la prima cosa da fare è recarsi con urgenza ad effettuare un ecodoppler venoso. Questo esame, totalmente non invasivo, permette infatti di riscontrare velocemente la presenza di una eventuale trombosi.

Una trombosi in gravidanza può essere diagnosticata con l'ecodoppler

Nel caso ci sia un forte sospetto legato ai sintomi ma non sia possibile fare subito l’ecodoppler, è consigliato iniziare immediatamente la terapia anticoagulante con le punture di eparina, a meno che questo farmaco sia controindicato.
Una volta effettuato l’ecodoppler si potrà capire se il trattamento va continuato o meno, e in questo modo si eviterà di restare senza terapia nel caso in cui la trombosi fosse effettivamente in atto.

Se è presente una trombosi pelvica, l’ecodoppler venoso potrebbe non essere in grado di riscontrarla. In tal caso, la paziente dovrà eseguire una risonanza magnetica addominale con mezzo di contrasto, evitando invece la TAC, che comporterebbe una grossa dose di radiazioni per il feto.

Infine, ricordo che il dosaggio del D-Dimero nel sangue non ha molta utilità durante la gravidanza, al contrario di quanto accade in una situazione normale.
Questa molecola, infatti, è fisiologicamente aumentata durante la gestazione, perché è un frammento di degradazione di una proteina coagulativa, e al pari delle altre molecole di questa categoria viene prodotta in quantità maggiore sotto lo stimolo ormonale.

Profilassi e terapia della trombosi in gravidanza

In presenza di determinati fattori predisponenti è consigliato prevenire la trombosi in gravidanza attraverso una profilassi con terapia anticoagulante.
Quando si fa una profilassi, il dosaggio è di solito ridotto a una somministrazione al giorno, e al momento del parto, solitamente spontaneo, non viene sospesa la terapia.

In presenza di una trombosi in gravidanza, invece, è opportuna una terapia anticoagulante a dosaggio pieno, di solito mediante due somministrazioni giornaliere, in quantità dipendente dal peso.
Il parto viene generalmente programmato, in modo da sospendere la terapia anticoagulante alcuni giorni prima.

Il farmaco di prima scelta, sia per la profilassi che per la terapia, è l’eparina a basso peso molecolare, sotto forma di punture sottocutanee.
Questo farmaco è generalmente ben tollerato, ma a volte può provocare un calo delle piastrine oppure generare una risposta allergica; inoltre, essendo espulsa attraverso i reni, tende ad accumularsi eccessivamente nelle persone con problemi di insufficienza renale.

La trombosi in gravidanza viene trattata con le punture di eparina

In presenza di una controindicazione alla somministrazione di eparina, il farmaco di seconda scelta è il Fundaparinux, sempre sotto forma di punture sottocutanee; questa sostanza, che inibisce una specifica molecola della coagulazione, non avrebbe però ancora una totale evidenza di sicurezza in gravidanza, e per questo va usata in casi selezionati.

Per quanto riguarda gli anticoagulanti assunti per bocca, sappiamo che il Warfarin attraversa la placenta ed ha un noto effetto teratogeno sul feto, cioè causa la comparsa di malformazioni. Per questo motivo non può essere assunto in gravidanza.
I nuovi farmaci anticoagulanti orali, chiamati con l’acronimo DOAC’s, sembrerebbero attraversare la placenta, e al momento i potenziali rischi sul feto non sono conosciuti.

Chi è a rischio di trombosi in gravidanza

Nonostante il fisiologico aumento della coagulabilità del sangue, la maggior parte delle donne in gravidanza non necessita di profilassi, perché i rischi di emorragia supererebbero quelli di trombosi.

Ci sono, però, alcune categorie di persone maggiormente a rischio di trombosi in gravidanza; queste persone dovranno quindi effettuare la profilassi con l’eparina, in alcuni casi prima del parto (ante partum), in altri dopo il parto (post partum).
Le donne che devono fare la profilassi prima del parto devono iniziarla precocemente nel primo trimestre, in quanto, come già detto, il rischio di trombosi è lo stesso in tutti e tre i trimestri.

In generale, le donne maggiormente a rischio di trombosi in gravidanza sono quelle che hanno avuto trombosi venose in passato, oppure quelle che sono affette da alcune mutazioni genetiche che le predispongono alla trombosi.
Altri fattori di rischio sono l’età maggiore di 35 anni, la nulliparità (cioè il non avere avuto parti precedenti), l’obesità, l’immobilizzazione prolungata e il fumo di sigaretta.

Anche in presenza di alcuni auto-anticorpi, cioè anticorpi diretti contro molecole normalmente presenti nell’organismo, c’è un maggior rischio di trombosi.
Gli anticorpi maggiormente responsabili di questo fenomeno sono il Lupus Anticoagulans e gli anticorpi anti-fosfolipidi.

Nel periodo dopo il parto, i principali fattori di rischio sono ancora l’immobilizzazione prolungata, l’ipertensione gravidica oppure l’essere state sottoposte ad interventi chirurgici, come il taglio cesareo.

Chi deve fare la profilassi

La società Americana di Ematologia ha prodotto nel 2018 delle linee guida che sintetizzano le evidenze più recenti della letteratura, fornendo delle indicazioni ai medici su chi sottoporre a profilassi per prevenire la trombosi in gravidanza.
Ricordo che le linee guida forniscono dei livelli di evidenza per una data terapia e non rappresentano la verità assoluta, ma piuttosto una rotta da seguire per il medico quando deve dare indicazioni alle pazienti.

Per quanto riguarda la trombosi in gravidanza, queste linee guida ci dicono che la necessità di profilassi con l’eparina si basa sulla presenza o meno di fattori di rischio acquisiti oppure genetici; vediamoli nello specifico.

Fattori acquisiti e trombosi in gravidanza

Le donne che hanno avuto precedenti trombosi venose spontanee oppure provocate da fattori di rischio ormonali, come ad esempio l’assunzione di pillola anticoncezionale, dovrebbero sottoporsi alla profilassi prima del parto.
D’altro canto, le donne che hanno avuto precedenti trombosi ma secondarie a fattori di rischio non ormonali, non dovrebbero sottoporsi a tale profilassi.

Entrambe queste categorie di donne, cioè che hanno avuto precedenti trombosi venose, dovrebbero però sottoporsi alla profilassi post partum.

Fattori genetici e trombosi in gravidanza

Ci sono diverse mutazioni genetiche che predispongono alla trombosi venosa, e in gravidanza la percentuale di rischio aumenta ulteriormente.
Infatti, il 50% circa delle trombosi in gravidanza è legato a predisposizione genetica ereditaria.

Queste mutazioni colpiscono dei geni relativi a proteine coinvolte nella coagulazione del sangue; le forme mutate facilitano maggiormente la coagulazione del sangue rispetto alle forme normali.
Esistono forme eterozigoti, cioè con un gene sano e uno mutato, e forme omozigoti, più pericolose in quanto entrambi i geni sono mutati.

Fattore di Leiden

Rappresenta la mutazione più frequente nella popolazione europea e asiatica, e riguarda la quinta proteina della cascata coagulativa.

Forma eterozigote – non è necessaria la profilassi ante partum, indipendentemente dalla storia di trombosi all’interno della famiglia della paziente, sempre se la paziente non ha avuto precedenti trombosi.
Anche la profilassi post partum non sembrerebbe consigliata.
Forma omozigote – è consigliata la profilassi sia in gravidanza che nel post partum, indipendentemente dalla storia familiare di trombosi.

Mutazione della protrombina (G20210A)

Questa mutazione fa aumentare i livelli nel sangue di protrombina, una delle ultime proteine coinvolte nel processo coagulativo.

Forma eterozigote – indipendentemente dalla storia familiare di trombosi, non è indicata la profilassi prima e dopo il parto.
Forma omozigote – in assenza di storia familiare di trombosi non è indicata la profilassi ante partum; è generalmente indicata la profilassi post partum.

Deficit di proteina C o proteina S

Si tratta di due proteine che regolano la coagulazione del sangue, evitando che si attivi eccessivamente.
La mutazione le rende presenti in minore concentrazione del normale, favorendo quindi la coagulazione e il rischio di trombosi.

In presenza di mutazione di queste proteine, la profilassi ante partum non è indicata, mentre la profilassi post partum è indicata solo se c’è una storia familiare di trombosi.

Deficit di antitrombina III

Anche questa glicoproteina controlla la coagulazione del sangue, evitando che si attivi troppo; la mutazione la rende carente nella sua forma attiva, predisponendo alla trombosi.

In assenza di storia familiare di trombosi, non è consigliata la profilassi ante partum e post partum, mentre se la storia familiare è positiva la profilassi andrebbe fatta sia prima che dopo il parto.

Conclusioni

Le donne in gravidanza dovrebbero conoscere la trombosi in gravidanza e sapere qual è il loro livello di rischio.
In presenza di mutazioni genetiche o di fattori di rischio acquisiti, la figura di riferimento per le indicazioni sulla profilassi e la terapia dovrebbe essere l’ematologo.

Se durante la gravidanza compaiono delle vene varicose nelle gambe oppure si manifestano dolori o gonfiori, bisogna consultare un angiologo ed effettuare una visita comprensiva di ecodoppler; in questo modo si potrà conoscere la propria situazione vascolare e prevenire eventualmente una trombosi, utilizzando, ad esempio, una calza elastica adeguata.

Ancora una volta, chi è ben informato previene il problema, e lo cura più efficacemente nel caso dovesse verificarsi.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5778511/pdf/cdt-07-S3-S309.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6258928/pdf/advances024802CG.pdf

La ritenzione idrica può essere contrastata con una corretta integrazione

Ritenzione idrica nelle gambe: quali rimedi?

La presenza di ritenzione idrica nelle gambe viene lamentata da molte donne, soprattutto nel periodo primaverile ed estivo, è fonte di disagio ed è difficile da contrastare.
Si tratta sostanzialmente della percezione o sensazione di gonfiore localizzata alle caviglie, ai piedi, alle gambe o a volte alle cosce; naturalmente il gonfiore è frequentemente anche oggettivo.

Questo problema può accompagnarsi a dolori crampiformi o senso di pesantezza alle gambe, oppure a bruciore e indolenzimento.
Le cause di questa condizione sono difficilmente riconducibili ad un unico fattore, in quanto si tratta per lo più di forme miste dovute a predisposizione genetica e azione degli ormoni estrogeni.

Cause della ritenzione idrica

Con il termine ritenzione idrica si intende una generica tendenza a trattenere liquidi all’interno dell’organismo.
La ritenzione idrica propriamente detta dovrebbe accompagnarsi ad un aumento del peso corporeo o del volume degli arti, oppure presentarsi sotto forma di edema alla gamba, quando la pressione delle dita lascia un’impronta (il cosiddetto segno della “fovea”).

Il problema a cui ci riferiamo nello specifico, invece, a che fare con ristagno di acqua e linfa nella rete di tessuto connettivo che si trova nel contesto del grasso sottocutaneo degli arti inferiori.

La ritenzione idrica spesso si accompagna a dolore e pesantezza alle gambe

Perché succede questo?
Acqua e molecole filtrano regolarmente dai capillari sanguigni ai tessuti dove portano ossigeno e nutrimento, per poi essere raccolte dai capillari linfatici.
In alcune condizioni come la cellulite, oppure negli stadi iniziali del lipedema, c’è invece una tendenza intrinseca dei capillari ad essere più permeabili del normale, il che risulta in un accumulo di liquidi nei setti di connettivo che accolgono gli stessi capillari.
Questo processo a sua volta causa la ritenzione idrica.

Inoltre, quando la temperatura esterna aumenta, e le vene diminuiscono la loro attività per disperdere calore, questo meccanismo vizioso può essere indirettamente favorito.
Il ristagno di sangue dovuto ad ipotonia venosa e reflusso è alla base dell’edema che si forma nell’insufficienza venosa, ed è noto che la cellulite e la stessa insufficienza venosa vanno frequentemente di pari passo, sotto l’azione degli ormoni femminili.

Quali sostanze possono contrastare la ritenzione idrica?

Per combattere la ritenzione idrica nelle gambe servono delle sostanze che regolino la permeabilità dei capillari, possibilmente migliorino il tono venoso, cioè l’attività propulsiva delle vene, e “aggiustino” il funzionamento dei capillari linfatici.
Queste sostanze dovrebbero anche contrastare l’infiammazione e il danno ossidativo, perché quando i capillari filtrano di più attivano anche la risposta infiammatoria, tanto è vero che insufficienza venosa e cellulite si associano nel lungo termine ad infiammazione nella matrice extracellulare e fibrosi.

Premesso che è fondamentale idratarsi abbondantemente, non esiste un rimedio che cambi la situazione in modo fulmineo, anche perché la problematica è subdola e i meccanismi che la regolano rappresentano un bersaglio eterogeneo, difficile da colpire.
Abbiamo però a disposizione delle molecole, per lo più naturali, che hanno una azione flebotonica, cioè supportano la microcircolazione ed il funzionamento il sistema veno-linfatico, aiutandoci a contrastare il problema.

Conoscerle fornisce degli strumenti in più che si possono sfruttare.

Ruscus

Il Ruscus Aculeatus è una pianta cespugliosa sempreverde che produce delle grosse bacche rosse e forma delle foglie pungenti, per questo si chiama anche “pungitopo”.
L’estratto delle sue radici contiene delle sostanze chiamate saponine; esse hanno una nota funzione di supporto del sistema venoso, sono antiossidanti, cioè proteggono le cellule dai danni chimici, e hanno una azione diuretica.

La ritenzione idrica può essere contrastata con il Ruscus

Il meccanismo di azione dell’estratto di Ruscus sulla ritenzione idrica è legato all’azione dell’adrenalina e della noradrenalina sulle pareti delle vene.
Queste molecole stimolano le cellule muscolari dei vasi a contrarsi per far progredire il sangue, ed il Ruscus ne potenzia l’azione a livello recoettoriale, favorendo anche il rilascio in quantità maggiore della sostanza.
In questo modo, l’aumento del flusso capillare andrà di pari passo con una minore permeabilità, e quindi contrasterà la ritenzione idrica.

Negli studi sugli animali, il Ruscus ha mostrato un effetto dose-dipendente di aumento della contrazione delle vene e dei vasi linfatici, aumento della resistenza dei capillari e diminuzione della loro permeabilità, oltre che di contrasto all’azione infiammatoria dei globuli bianchi.
Nell’uomo, vari studi hanno analizzato questa sostanza in persone con insufficienza venosa, sia in forme lievi con presenza di soli capillari, sia in forme gravi con gonfiori importanti, ulcere ed esiti di trombosi.

Il Ruscus mostra un’alta efficacia sia nella riduzione dei sintomi come pesantezza, dolore, crampi, fatica e formicolio, sia nel contrasto alla ritenzione idrica, misurata quantitativamente come diminuzione della circonferenza alla caviglia e diminuzione del volume dell’arto.
Un fatto interessante è che nella popolazione studiata c’erano soggetti con capillari visibili sulle gambe e sintomi come pesantezza e gonfiore, cioè persone, per lo più di sesso femminile, molto rappresentative del problema di cui parliamo.

Negli studi analizzati, il Ruscus è stato somministrato per tre mesi in associazione con Esperidina, una sostanza flavonoide naturale, e in alcuni casi con Vitamina C.
L’associazione di 150 mg di Ruscus + 1 g di Vitamina C al giorno è un valido rimedio per contrastare la ritenzione idrica.

Escina

L’escina è un’altra sostanza appartenente alla categoria delle saponine; la troviamo nell’estratto dei semi di ippocastano.
Questa molecola contrasta l’infiammazione e riduce la permeabilità dei capillari, agendo quindi in opposizione ai meccanismi che determinano la ritenzione idrica. Inoltre, ha una azione protettiva proprio sulle cellule dei capillari sanguigni.

La ritenzione idrica può essere contrastata con l'escina

L’escina aumenta direttamente anche il tono venoso. Uno studio effettuato su vene safene prelevate chirurgicamente, tuttavia, ha mostrato che funziona poco o nulla se il vaso è molto tortuoso, quindi si può ipotizzare una sua maggiore efficacia negli stadi inziali dell’insufficienza venosa, quando ancora non si sono sviluppate vene varicose.

Per quanto riguarda la letteratura scientifica disponibile, la gran parte degli studi è stata effettuata in soggetti con insufficienza venosa.
L’escina si è mostrata efficace miglioramento di sintomi come il senso di gonfiore, mentre nella sindrome post trombotica non vi è ancora evidenza di una sua azione positiva in termini di prevenzione e trattamento.
La dose somministrata è stata di 40 mg per bocca per 21-25 giorni. Il dosaggio generalmente consigliato, tuttavia, è di 100 mg al giorno; va prestata attenzione se si soffre di patologie al fegato o di insufficienza renale.

Infine, anche sotto forma di gel l’escina si è mostrata efficace, questa volta nel migliorare gli edemi post traumatici (distorsioni, contusioni) ma anche il gonfiore legato all’insufficienza venosa.
Il dosaggio testato è stato di due applicazioni al giorno per tre settimane.

Rutina

La rutina è una sostanza appartenente alla categoria dei flavonoli, la troviamo nella pianta denominata Ruta Glaveolens ma soprattutto in alcuni alimenti come il grano saraceno, il , la passiflora e la mela.

Il primo aspetto interessante della rutina è legato ad un suo componente, la quercetina, che peraltro è presente nelle foglie di ibisco o karkadè, oltre che nello stesso ippocastano, nella calendula, nel biancospino, nella camomilla e nel Gingko Biloba.

La ritenzione idrica può essere contrastata con la quercetina
Tra gli alimenti, quelli particolarmente ricchi di quercetina sono il cappero, il levistico, l’uva rossa e il vino rosso, la cipolla rossa, il tè verde, il mirtillo, la mela, la propoli e il sedano.

Questa molecola determina una vasodilatazione a livello renale, che a sua volta aumenta la filtrazione di liquidi in questo organo favorendo una azione diuretica.
La quercetina, quindi, è un ottimo integratore per contrastare la ritenzione idrica, e si mostra efficace anche nel ridurre il senso di affaticamento che spesso si percepisce nel periodo primaverile ed estivo.
Il dosaggio non dovrebbe essere superiore a 300 mg al giorno.

Tornando alla rutina, ricordo che ha una potente azione antinfiammatoria e anti-proliferativa, e per questo è stata ampiamente studiata nei tumori e nelle malattie neuro-degenerative.

Centella asiatica

La Centella Asiatica è una pianta tipicamente presente in India e in altri paesi dell’Asia, la si trova ad altitudini montane e per secoli è stata usata come erba medicinale, per migliorare la memoria e il tono dell’umore.
Inoltre, è antiossidante e contribuisce a migliorare il controllo della pressione arteriosa.

La ritenzione idrica può essere contrastata con la centella asiatica

Le sostanze attive contenute nella Centella Asiatica sono anche in questo caso appartenenti alla categoria delle saponine.
Esse agiscono specificamente sul tessuto connettivo che costituisce le pareti delle vene, regolando la produzione delle molecole strutturali che lo compongono.
In particolare, l’azione si focalizza sulla sintesi di collagene, una delle sostanze cardine del tessuto connettivo stesso e che, tra l’altro, serve per la cicatrizzazione delle lesioni cutanee.
Studi su modelli animali, infatti, hanno mostrato che la Centella Asiatica velocizza la guarigione delle ferite.

In termini di ritenzione idrica, studi “in vivo” hanno mostrato un’azione protettiva della Centella Asiatica sui vasi capillari, una regolazione della loro permeabilità e un effetto antiossidante.
Nell’uomo si è osservata una riduzione della circonferenza alla caviglia, del gonfiore e del tasso di filtrazione capillare in soggetti che hanno assunto gli estratti di Centella Asiatica per 4-8 settimane. Il miglioramento è stato ottenuto anche nei sintomi soggettivi come gonfiore e pesantezza.

In queste ricerche, però, i parametri usati per definire la ritenzione idrica sono stati eterogenei, in alcuni casi quantitativi, in altri qualitativi. Oltretutto, si analizzavano soggetti con vari livelli di gravità di insufficienza venosa insieme a soggetti sani.
Queste distorsioni statistiche hanno portato a definire non ancora comprovato l’effetto della Centella Asiatica, almeno dal punto di vista strettamente scientifico.

Basandoci sull’esperienza clinica, possiamo tuttavia sfruttare le proprietà, comunque esistenti, di questa sostanza, nella dose di 60 mg da una a tre volte al giorno, per 4-6 settimane.
Bisognerebbe evitare di assumere contestualmente farmaci sedativi, perché sommerebbero la loro azione a quella della Centella, già di per sé tranquillante.

Conclusioni e consigli

Il problema della ritenzione idrica è complesso. Essa può essere ricondotta ad insufficienza venosa di tipo funzionale o a stasi linfatica, presente in alcuni stadi della cellulite e del lipedema.
Il comune denominatore sembra essere rappresentato dagli ormoni estrogeni, che agiscono sulla redistribuzione del grasso corporeo e sull’attività propulsiva delle vene e dei vasi linfatici.

Ci sono diverse sostanze che contrastano la ritenzione idrica, molte delle quali con una azione notoriamente efficace nella pratica clinica.
Secondo la letteratura più recente, mancano delle evidenze soprattutto per quanto riguarda la Centella Asiatica, a causa di fattori statistici che rendono necessarie delle ricerche più ampie e con parametri più rigidi.
Per il resto, una corretta integrazione può giocare il suo ruolo nel combattere questo problema.

Va ricordato che è importante limitare il consumo di sale e bere molto, per idratare adeguatamente la matrice extracellulare. In caso di ritenzione idrica questo tessuto è, in apparenza paradossalmente, disidratato, perchè il ristagno di liquidi si accompagna anche ad accumulo di molecole e cellule nello spazio extracellulare, rendendo questo fluido linfatico più denso del normale.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6776292/pdf/dddt-13-3425.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5355559/pdf/main.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3116297/?report=printable

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3594936/pdf/ECAM2013-627182.pdf

https://www.minervamedica.it/it/riviste/international-angiology/articolo.php?cod=R34Y2017N02A0093

http://www.sicve.it/wp-content/uploads/2016/10/Flebologia-LG-SICVE-SIF.pdf

gambe pesanti e doloranti

Rimedi per le gambe pesanti e doloranti

La presenza di gambe pesanti e doloranti è tipica del periodo primaverile/estivo e spesso si accompagna a crampi e sensazione di gonfiore. Il problema interessa soprattutto le donne, in particolare se svolgono un lavoro sedentario o se passano molte ore ferme in piedi, anche a causa del fattore ormonale legato all’azione degli estrogeni.

Questi spiacevoli disturbi possono comparire durante la giornata ma soprattutto alla sera, o in alcuni casi vengono avvertiti costantemente. Oltre alla sensazione di gambe pesanti e doloranti, si avvertono crampi, stanchezza e senso di gonfiore, che destano a volte preoccupazione in quanto fanno pensare a una trombosi o comunque a possibili eventi gravi.

Perché le gambe sono pesanti e doloranti?

La sensazione di gambe pesanti e doloranti è un sintomo tipico dell’insufficienza venosa, una patologia causata dalla progressiva perdita di funzione drenante delle vene delle gambe, che tendono a dilatarsi progressivamente alimentando il reflusso del sangue, anche a causa della perdita di continenza delle valvole venose.

Quando le vene si sfiancano, il sangue tende a ristagnare nei punti più declivi della gamba.
Questo provoca da un lato l’esordio di sintomi come dolore, pesantezza alle gambe, crampi o anche prurito, dall’altro un aumento della permeabilità dei vasi capillari e l’attivazione delle cellule del sangue, con il risultato che i liquidi fuoriescono nei tessuti generando gonfiore e infiammazione.

Anche le persone sane o con forme di insufficienza venosa solo funzionale possono avvertire gambe pesanti e doloranti in questo periodo, perché l’aumento della temperatura esterna causa una dilatazione delle vene che serve a smaltire il calore, ma che dall’altra parte è responsabile dei disturbi.
Le donne risentono maggiormente di questi problemi perché gli ormoni estrogeni diminuiscono a loro volta il tono venoso, per cui la comparsa di disturbi è frequente nelle diverse fasi del ciclo mestruale o in caso di assunzione di alcune tipologie di terapia ormonale o contraccettiva.

Quali sono i rimedi per le gambe pesanti e doloranti?

Le sostanze venoattive o flebotoniche sono un gruppo eterogeneo di molecole che hanno una azione importantissima sul sistema venoso e sul microcircolo.
Queste sostanze hanno un’origine per lo più vegetale, infatti sono state largamente usate in passato come erbe medicinali e oggi vengono estratte dalle piante o in parte sintetizzate, quindi è possibile trovarle in alcuni alimenti ma più spesso si assumono sotto forma di integratori.

Le sostanze venoattive, tralasciando la loro classificazione che potrebbe risultare noiosa, hanno numerosi effetti positivi in comune.
Per prima cosa aumentano il tono venoso, cioè agiscono sulla parete delle vene migliorandone la contrazione e favorendo quindi il drenaggio di sangue.
Hanno anche una potente azione antiossidante, cioè proteggono le cellule delle vene e dei capillari dallo stress indotto dal ristagno di sangue e dallo stravaso di liquidi, e per questo sono state studiate anche nelle neoplasie.
Agiscono contrastando l’infiammazione, che si attiva a causa del ristagno di sangue proprio per l’attivazione di cellule come i leucociti e i monociti/macrofagi, che con il tempo si rendono responsabili dei danni nei tessuti extra-vasali.
Inoltre, riducono la permeabilità dei capillari e quindi contrastano il gonfiore e l’edema che possono svilupparsi a causa della stasi di sangue, e regolano la densità del sangue stesso evitando l’aggregazione tra le sue cellule il che favorirebbe l’attivazione infiammatoria e della coagulazione.

Cosa sono i flavonoidi?

gambe pesanti e doloranti

L’elenco delle sostanze venoattive è molto lungo, ma in questa sede ci soffermeremo sui flavonoidi ed in particolare sulla frazione flavonoide.

I flavonoidi sono dei metaboliti delle piante che appartengono alla famiglia dei polifenoli; generalmente costituiscono i pigmenti delle piante stesse e si trovano soprattutto nei loro frutti e nelle foglie, ma a volte anche nelle radici come nel caso del Ruscus.
Tra i flavonoidi ricordiamo due categorie di sostanze molto attive sulle vene e sui capillari, ma che condividono anche le proprietà antiossidanti che abbiamo visto nelle sostanze venoattive: gli antociani e le proantocianidine.

Gli antociani sono responsabili dei colori rosso, blu e violetto dei frutti e delle bacche che li contengono, come ad esempio il ribes, la ciliegia, il cavolo rosso, l’uva rossa, la fragola, il sambuco e le bacche in generale L’alimento che contiene più antociani in assoluto è l’aronia, una pianta dalle bacche molto aspre.
Anche le proantocianidine si trovano all’interno di frutti rossi come mirtilli e uva rossa, ma anche nel tè verde e nel cacao.

Una sostanza molto importante appartenente alla categoria dei flavonoidi e largamente utilizzata è la frazione flavonoide (detta anche frazione flavonoide purificata micronizzata o più semplicemente FFPM), un composto semisintetico costituito per il 90% da diosmina e per il 10% da flavonoidi.
La diosmina non è altro che una molecola semisintetica con una potente azione di supporto del sistema venoso, e deriva da un flavonoide naturale, l’esperidina.

Come funziona la frazione flavonoide?

La frazione flavonoide aumenta il tono venoso agendo sui segnali nervosi che regolano la contrazione delle cellule muscolari, situate nella parete delle vene e responsabili della loro capacità propulsiva.
Questo avviene grazie all’aumento che questa sostanza esercita sulla concentrazione di noradrenalina, che è la molecola che stimola la contrazione di queste cellule favorendo così il flusso di sangue.

Gli effetti benefici della frazione flavonoide sono stati indagati da numerosi e vasti studi scientifici, confermati anche da recenti revisioni della letteratura.
Un primo dato interessante è emerso da studi effettuati su una popolazione di soggetti sani con sintomi come pesantezza e dolore alle gambe, associati alla presenza di capillari; come abbiamo già detto si tratta di un problema tipico delle donne, maggiormente soggette a questi disturbi per i fattori ormonali legati al ciclo o alla terapia contraccettiva.

In queste persone, la presenza di capillari visibili era accompagnata anche dal riscontro di reflusso sulla vena grande safena, evidenziato alla fine della giornata lavorativa e tipicamente nel contesto di attività sedentarie o in cui veniva mantenuta la stazione eretta per molte ore.
La presenza di reflusso a fine giornata, pur essendo da considerare un fatto ancora fisiologico, potrebbe evolvere col tempo nello sviluppo di vene varicose superficiali, sovraccaricate dal protrarsi del ristagno di sangue.

La somministrazione di un grammo al giorno di frazione flavonoide per tre mesi ha migliorato nettamente i sintomi, il discomfort e la qualità di vita dei soggetti indagati, e si è anche osservata una scomparsa del reflusso precedentemente osservato.
Questo dato è importante perché mostra che il trattamento con flavonoidi è anche in grado di rallentare l’evoluzione dell’insufficienza venosa, e possono trarne beneficio anche le persone già affette da questa malattia nelle sue diverse fasi.

Naturalmente, l’assunzione di flavonoidi non fa scomparire i capillari, che sono la sede di micro reflussi superficiali e rappresentano uno stadio iniziale dell’insufficienza venosa; in questo caso bisognerà sottoporsi ad un trattamento di scleroterapia per avere il risultato auspicato.

La FFPM ha un altro effetto importante, cioè riduce la permeabilità dei vasi capillari contrastando il gonfiore alle gambe, un’altra conseguenza dell’insufficienza venosa o anche del mantenere per molte ore la posizione eretta.
Infine, la frazione flavonoide accelera anche la guarigione delle ulcere venose, che rappresentano lo stadio più grave dell’insufficienza venosa; questa proprietà è legata all’azione antinfiammatoria della sostanza oltre che di riduzione della permeabilità dei capillari e di miglioramento del flusso sanguigno.

Consigli

In conclusione, raccomando spesso di assumere questa molecola per almeno un mese, ma meglio se per tre mesi, con il dosaggio di un grammo al giorno.
La frazione flavonoide, infatti, si è dimostrata tra le sostanze più efficaci nel ridurre la sensazione di gambe pesanti e doloranti, oltre che migliorare la qualità di vita anche in soggetti sani che soffrono di questa problematica a causa di fattori costituzionali o legati allo stile di vita.
Non ci sono particolari controindicazioni alla sua somministrazione, ma è meglio non assumerlo durante la gravidanza e l’allattamento in quanto non è stata dimostrata la sua sicurezza in queste situazioni.

In caso di gambe pesanti e doloranti, tuttavia, credo sia opportuno effettuare anche una visita specialistica per diagnosticare una eventuale insufficienza venosa e pianificare, in questo caso, il giusto iter terapeutico.

Fonti

https://www.minervamedica.it/it/getfreepdf/DPtk5U3LFEImWyO0DnXZ%252BZlmkqp6b%252FX2OsmDZ%252BaUPELwx9hLcWYXyGSCMjffJ9s%252FCfxuDq%252BoWObQgJspWBo75w%253D%253D/R34Y2017N02A0189.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7004432/pdf/12325_2019_Article_1218.pdf

https://www.minervamedica.it/it/getfreepdf/62rK2LeaZadmZhf8lMJPNc5mCHoOlHcsY5Eip5EDZ8FMo6opInlSIXIpSHbtUaJ60L47poeHhRkpDysYV00cAw%253D%253D/R34Y2018N02A0143.pdf

http://www.sicve.it/wp-content/uploads/2016/10/Flebologia-LG-SICVE-SIF.pdf

geloni alle mani e ai piedi

Geloni alle mani e ai piedi: cause e rimedi efficaci

È possibile avere i geloni alle mani e ai piedi anche in primavera o in estate?
Sicuramente accade con minore frequenza rispetto all’inverno, ma alcune persone soffrono di questo problema anche se fa caldo e con parecchio disagio.

Riscontro questo disturbo più frequentemente nelle donne, che lamentano un grosso imbarazzo nel porgere la mano o nel mostrare le dita a causa del loro colore violaceo o comunque scuro.

Ma quali sono le cause sottostanti, o meglio, si tratta effettivamente di un problema di circolazione?
In che modo si può migliorare la situazione?

In effetti il problema è più eterogeneo di quello che sembra. Vediamone le cause e come si può migliorare la situazione, cercando di essere più sintetici possibile per dare indicazioni utii a chi soffre di questo problema.

Cause dei geloni alle mani e ai piedi

I cosiddetti geloni alle mani e ai piedi in realtà non sono i geloni propriamente detti; vedremo successivamente il perché.
Per ora diciamo che il problema si riconduce generalmente ad una alterazione nella microcircolazione cutanea a livello delle estremità degli arti.

La microcircolazione è una struttura microscopica dove i piccoli vasi arteriosi si sfioccano nei capillari, nei quali avviene il passaggio di sostanze nutrienti e ossigeno alle cellule, per poi proseguire nelle vene che riporteranno il sangue al cuore.
Le arterie della microcircolazione, chiamate arteriole, sono dei tubicini che si allargano e si restringono a seconda degli stimoli grazie alla presenza di cellule muscolari che albergano nella loro parete.

In caso di geloni alle mani e ai piedi si possono verificare due condizioni: un’ostruzione meccanica di questi vasi oppure una contrazione eccessiva delle cellule muscolari della parete, chiamato vasospasmo.

Le ostruzioni sono causate da patologie gravi come le vasculiti, cioè infiammazioni dei vasi sanguigni, o le embolie, cioè chiusure improvvise di un’arteria a causa di un frammento di sangue coagulato che arriva seguendo la circolazione.
Altre situazioni che causano ostruzione sono trombosi in presenza di tumori o presenza di malattie del sangue che lo rendono troppo denso.

Il vasospasmo è alla base dei cosiddetti geloni; si tratta di una contrazione eccessiva e duratura delle cellule muscolari delle piccole arterie che provoca un temporaneo calo del flusso sanguigno, solitamente reversibile.

Quali problemi stanno alla base del vasospasmo? Ci sono alcune condizioni cliniche da conoscere; vediamole di seguito.

1) Fenomeno di Raynaud

Si tratta di un vasospasmo a livello dei piccoli vasi delle dita che si scatena solitamente con l’esposizione al freddo o in risposta agli stimoli emotivi come paura o ansia.
Non è necessario che la temperatura sia particolarmente rigida per scatenare un attacco in quanto è sufficiente che ci sia un passaggio da caldo a freddo.

La causa sembra risiedere in una iper-reattività delle fibre nervose che regolano la contrazione delle cellule muscolari delle arteriole, un fattore quindi molto soggettivo.

Come si manifesta?
La forma tipica ha tre fasi. Inizialmente compare uno sbiancamento improvviso ad una o più dita, causato dal minor flusso di sangue, successivamente il dito diventa bluastro a causa della scarsa ossigenazione del sangue e infine diventa rosso viso a causa di una vasodilatazione compensatoria.

Non sempre sono presenti tutte e tre le fasi ma lo sbiancamento deve essere presente per poter porre la diagnosi, mentre le altre due fasi sono variabili. Ricordiamo che, oltre al cambiamento di colore, possono associarsi anche dolore, alterazioni della sensibilità come formicolii o intorpidimento o raramente comparsa di ulcere sulla pelle; la durata dell’attacco è in genere di 10-20 minuti.

Il fenomeno di Raynaud si osserva tipicamente in una o più dita della mano o del piede, di solito compare sia nella faccia volare che dorsale del dito e  può comparire anche in altre estremità del corpo come il naso, le orecchie o i capezzoli.
Dal punto di vista delle sue cause dobbiamo distinguere la forma primitiva da quella secondaria; vediamole brevemente.

geloni alle mani e ai piedi

Forma primitiva

La forma primitiva non ha cause apparenti, compare soprattutto a partire dall’età adolescenziale nelle femmine e di solito c’è una familiarità; il problema interessa circa il 10% della poplazione.
Tra le caratteristiche principali del fenomeno primitivo va ricordato che, di solito, inizia su un dito ma poi si propaga alle altre dita in modo abbastanza simmetrico e bilaterale.
Il dolore, se presente, è moderato e non compaiono ulcere.

Forma secondaria

La forma secondaria si associa condizioni cliniche variabili di cui è manifestaizone, compare più spesso nell’età adulta e nel sesso maschile e di solito coinvolge un solo dito in maniera asimmetrica e monolaterale.
A seconda della causa possono esserci forme gravi, anche con dolore intenso e comparsa di ulcere.

Vediamo le cause principali di forma secondaria del fenomeno di Raynaud.

Connettiviti

Si tratta di patologie subdole, caratterizzate spesso da risposte autoimmunitarie che provocano infiammazioni dapprima nelle articolazioni e nei muscoli che poi si estendono ai vari organi e ai vasi sanguigni; alcuni esempi sono la sclerodermia, il lupus eritematoso e l’artrite reumatoide.
In queste patologie il fenomeno di Raynaud può essere tendenzialmente più grave, e la sua comparsa può precedere anche di anni l’esordio conclamato  della malattia di base.
Per questo motivo è fondamentare indagarlo, in quanto la diagnosi precoce di connettivite consente di evitarne la progressione a danno d’organo.

Farmaci

Alcuni farmaci possono provocare il fenomeno di Raynaud, come i beta bloccanti non selettivi, usati per lipertensione o anche in forma di gocce oculari, la ciclosporina, i farmaci per l’emicrania a base di ergotamina, estrogenici senza progesterone, alcuni farmaci per la chemioterapia o sostanze stupefacenti come cocaina ed efedrina.

Forme occupazionali

In questi casi il fenomeno di Raynaud si manifesta in persone che lavorano con strumenti vibranti, come martelli pneumatici, probabilmente a causa di una azione meccanica dello strumento.

Infine ricordiamo che, in presenza di un fenomeno di Raynaud primario o secondario, ci sono dei fattori che possono peggiorarlo aumentando la frequenza e l’intensità degli attacchi.
Tra questi ricordiamo il fumo di sigaretta, che peggiora la vasocostrizione, e la presenza di alcune malattie come l’aterosclerosi, la sindrome dello stretto toracico, il feocromocitoma e la sindrome del tunnel carpale.

2) Acrocianosi periferica

In questa situazione osserviamo cianosi alle estremità di mani e piedi, cioè colorito bluastro della cute dovuto a carenza di ossigeno, in donne tipicamente molto magre o anoressiche.
A volte si associano sintomi come senso di freddo e ipersudorazione, ma senza perdita di sensibilità; questa patologia è solitamente benigna e sembra legata ad una alterazione nella termoregolazione per scarsità di grasso.

3) Livedo

Consiste nella comparsa di un reticolo bluastro sulla pelle degli arti inferiori, tipicamente alle cosce ma anche in altre parti del corpo come l’addome.
Anche in questo caso il fenomeno è dovuto ad una alterazione delle arteriole cutanee che provoca un accumulo di sangue deossigenato nelle piccole vene cutanee.
La livedo esiste in forme primitive che sono benigne, tipiche delle donne e che spariscono quando si scalda la zona, e in forme secondarie a fenomeni di embolia sulle arterie, farmaci o vasospasmo causato dal freddo.

4) Lesioni da freddo non gelido

Queste lesioni compaiono quando i liquidi corporei stanno per tanto tempo esposti a temperature fredde ma non congelanti (circa -0,5 °C), soprattutto se in presenza di umidità o ambiente bagnato senza riuscire ad asciugare correttamente le dita.
Questa patologia può capitare a chi svolge attività lavorative al freddo e utilizzando l’acqua.

Quando cessa l’esposizione al freddo e ci si riscalda, compaiono sintomi tipici di neuropatia sensitiva cioè intorpidimento, formicolii o sensibilità alterata, ma nei casi gravi i soggetti non riescono a esporsi nuovamente a quelle temperature perché compaiono gonfiore, dolore e ipersudorazione.

Si tratta di una condizione clinica probabilmente sottostimata e sotto diagnosticata.

5) Geloni propriamente detti

Ecco cosa sono realmente i geloni: lesioni cutanee infiammatorie che compaiono a livello dei polpastrelli, sul letto ungueale oppure nel dorso delle dita in persone esposte a temperature non congelanti.
Sono lesioni rosse o violacee, rilevate, e compaiono tipicamente a fine inverno o inizio primavera, ma solitamente regrediscono in alcune settimane.

geloni alle mani e ai piedi

6) Congelamento

In questo caso, per l’esposizione a temperature glaciali, si formano cristalli di ghiaccio nei tessuti delle estremità con lesioni di gravità variabile, che possono arrivare alla necrosi con conseguente necessità di amputare le dita.

Sono situazioni tipiche degli alpinisti estremi.

Quali esami fare in caso di cosiddetti geloni alle mani e ai piedi

Ecodoppler – visita angiologica – innanzitutto va esclusa la presenza di placche aterosclerotiche nelle arterie degli arti superiori, patologia non frequente ma che si osserva ad esempio in caso di diabete o insufficienza renale, per valutare subito lo stato della circolazione e fare una prima diagnosi differenziale tra le varie condizioni viste sopra.

Visita reumatologica con esami del sangue – in presenza di sintomi suggestivi di connettivite come dolori muscolari e articolari, soprattutto se in età adulta, è opportuno effettuare una visita specialistica con esami del sangue, mirati alla ricerca di auto-anticorpi e di alterazione degli indici di infiammazione.

A giudizio dello specialista reumatologo, poi, si potrànno poi eseguire esami più specifici come la capillaroscopia, che dà informazioni dettagliate sulla microcircolazione mostrando alterazioni tipiche in caso di connettivite.

Come curare i geloni alle mani e ai piedi?

La terapia ha l’obiettivo di migliorare la qualità di vita della persona e non di eradicare il problema, che molto spesso non si può togliere alla radice.

Le fasi della terapia sono due; vediamole.

Prima fase – strategie comportamentali

– bisogna evitare i fattori che possono scetanare il vasospasmo quindi proteggersi dal freddo con calzini o guanti (nei casi gravi valutare anche presidi riscaldabili), soprattutto quando si prendono in mano oggetti freddi come cibo surgelato;
– cercare di mantenere una temperatura uniforme in tutto il corpo e non solo alle estremità, quindi indossare abiti caldi e a strati, compatibilmente con la stagione;
– cercare di controllare gli stati emotivi, quindi imparare a gestire lo stress e l’ansia con tecniche di rilassamento; in questo modo si ridurrà la frequenza degli attacchi;
– in presenza di un attacco di vasospasmo mettere al caldo la parte interessata, ad esempio a contatto con il corpo, per velocizzarne il recupero (sembra banale ma non lo è);
importantissimo non fumare, come ripeto sempre (si ha un sensibile miglioramento), inoltre evitare sostanze eccitanti tipo caffè e simili e farmaci visti in precedenza, quando possibile, oltre che evitare l’uso di strumenti vibranti nel caso delle forme professionali.

Seconda fase (se la prima non funziona) – terapia farmacologica

– i farmaci di prima scelta sono i calcio antagonisti ad azione ritardata, farmaci usati per l’ipertensione che agiscono sulle cellule muscolari delle arteriole rilassandole e causando vasodilatazione.
Alcuni principi attivi sono la Nifedipina o l’Amlodipina, si parte da dosaggi minimi e li si aumenta pian piano; naturalmente possono esserci effetti collaterali come mal di testa, vasodilatazione, gonfiore, ma questi disturbi di solito spariscono nel giro di qualche settimana e per questo i pazienti vanno incoraggiati a tollerarli.
– Ci sono farmaci di seconda scelta ed eventualmente farmaci iniettabili per via endovenosa, ma per questo più difficili da gestire a domicilio.

Consigli pratici

In casi di geloni alle mani o ai piedi è opportuna una visita nell’ambito vascolare, comprensiva di ecodoppler, e come primi rimedi vanno seguiti quelli visti in precedenza, perché danno dei buoni risultati anche se possono essere tediosi da mettere in pratica.
Dobbiamo ricordarci che non esiste una pillola magica per far sprire il problema, ma bisogna piuttosto indagarlo con il medico e studiarne gli approcci più opportuni per migliorarlo.

Sarebbe sempre bene indagare l’ambito vascolare, soprattutto se il problema compare in età adulta, per escluedre concomitanti problrmi di circolazione. Nel caso ci fosse il sospetto di una connettivite, sarà opportuno approfondire con una visita specialistica reumatologica ed esami mirati.

Fonti

https://econtent.hogrefe.com/doi/pdf/10.1024/0301-1526/a000661

https://www.ccjm.org/content/ccjom/84/10/797.full.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6139949/pdf/ms113_p0123.pdf