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Tumori e rischio di trombosi

L’associazione tra tumori e rischio di trombosi è un fenomeno noto da tempo. Infatti, nelle persone con un cancro la trombosi è la seconda causa più frequente di morte, dopo il tumore stesso.

Le trombosi associate al tumore si definiscono paraneoplastiche.

Le trombosi nei pazienti con tumore interessano principalmente le vene, ma anche le arterie. Le trombosi venose possono essere superficiali o profonde. In entrambi i casi si forma all’interno della vena colpita un coagulo di sangue, che può staccarsi e provocare una grave embolia ai polmoni.

Le trombosi arteriose, invece, compromettono l’apporto di sangue a un arto e quindi vanno operate immediatamente.

Qual è la frequenza delle trombosi nei pazienti con diagnosi di tumore?

Le trombosi compaiono in circa il 15% dei pazienti con diagnosi di tumore. Gli episodi di trombosi si associano a un peggioramento della prognosi. Infatti, i soggetti colpiti da trombosi hanno un tasso di sopravvivenza 6 volte più basso rispetto a quelli con cancro ma senza trombosi.

La trombosi paraneoplastica colpisce soprattutto i maschi più anziani.

Perché i pazienti con tumore sviluppano trombosi?

I tumori in generale aumentano la tendenza del sangue a coagulare, perché le cellule neoplastiche producono delle proteine pro-coagulanti. Tuttavia, anche la risposta immunitaria attivata dall’organismo nei confronti del tumore produce lo stesso tipo di proteine.

Inoltre, le persone affette da tumore hanno di solito altri fattori di rischio di trombosi. Alcuni esempi sono l’immobilizzazione prolungata magari a seguito di operazioni, chemioterapie, interventi chirurgici e infezioni. Un altro fattore di rischio importante è la presenza di cateteri venosi che si usano proprio per le chemioterapie.

Anche alcuni farmaci che si usano per i tumori possono incrementare il rischio di trombosi.

 

Quali tumori provocano più spesso trombosi?

Alcuni studi hanno mostrato che nel, momento in cui veniva diagnosticata una trombosi, i soggetti presentavano più spesso tumore ai polmoni, pancreas, colon retto, reni e prostata.

Tuttavia, il numero di nuovi casi di trombosi in persone con tumore già diagnosticato era maggiore nel tumore al pancreas.

Il tumore al pancreas è particolarmente aggressivo e comporta un elevato rischio di trombosi sia arteriosa che venosa. A seguire, gli altri tumori che più spesso provocano trombosi sono il tumore ai reni, all’ovaio, al polmone e allo stomaco.

Come si cura la trombosi paraneoplastica?

Il trattamento prevede l’uso di eparina a basso peso molecolare, che si somministra attraverso piccole punture sottocutanee come si fa a seguito di normali interventi chirurgici.

Molti studi scientifici supportano l’uso dell’eparina piuttosto degli anticoagulanti per bocca. In pratica, le eparine sono meglio tollerate e a parità di efficacia anticoagulante danno meno rischio di sanguinamento.

Il dosaggio cambia a seconda che la trombosi sia superficiale (una volta al giorno) o profonda (due volte al giorno).

Quanto dura la terapia?

Secondo le linee guida, la terapia a seguito di una trombosi dovrebbe durare dai 3 ai 6 mesi, ma è da continuare se ci sono particolari fattori predisponenti. Infatti, la presenza del tumore è già di per sé un rischio, e come abbiamo visto i pazienti con tumore hanno spesso altre condizioni predisponenti. Bisogna però sempre tenere conto del rischio di sanguinamento legato alla somministrazione di eparina.

 

Come prevenire la trombosi paraneoplastica?

Le norme generali di prevenzione non si possono applicare in tutti i casi. I pazienti dovrebbero eliminare la malattia tumorale, ma purtroppo non sempre è possibile. Le raccomandazioni sono di mobilizzarsi il più possibile e tenersi sempre sotto controllo medico.

 

In alcuni casi, se c’è un rischio particolarmente alto di trombosi, è opportuno fare una profilassi con eparina. La chemioterapia di per sé è un fattore aggiuntivo di rischio per trombosi, ma le linee guida attualmente non raccomandano di fare eparina a tutti i pazienti ambulatoriali che fanno la chemioterapia.

 

Sottoporsi a un intervento chirurgico per tumore, specie se addominale o pelvico, rappresenta un ulteriore fattore di rischio. Bisogna quindi fare la profilassi sia prima che dopo l’intervento.

Una menzione particolare va ai tumori del cervello: in questi casi, dopo l’intervento neurochirurgico il rischio di trombosi aumenta fino al 60%.

 

Quali sono le prospettive future?

Non ci sono ancora abbastanza studi per suggerire l’uso degli anticoagulanti orali, che sarebbero decisamente più confortevoli per i pazienti. Al momento, quindi, è opportuno attenersi alle linee guida per ottenere il trattamento più efficace sulla base delle attuali conoscenze.

 

 

La trombosi venosa superficiale si maniifesta con dolore lungo il decorso della vena interessata

Trombosi venosa superficiale: come riconoscerla e trattarla correttamente

La trombosi venosa superficiale è una patologia piuttosto temuta che si presenta soprattutto nella stagione estiva. Si tratta di un evento improvviso e non sempre prevedibile, che genera spesso preoccupazione anche solo per la presenza della parola “trombosi”.

In effetti, pur essendo benigna quando diagnosticata precocemente, la trombosi venosa superficiale può anche associarsi a complicanze gravi come le embiolie.
Per questo è opportuno riconoscerla il prima possibile e trattarla in maniera adeguata.

Come si riconosce una trombosi venosa superficiale? Qual è la terapia corretta?
In questo articolo ho riassunto le principali caratteristiche di questa patologia e le linee guida su come comportarsi.

Trombosi venosa superficiale: che cos’è?

La trombosi venosa superficiale si manifesta quando il sangue all’interno di una vena coagula spontaneamente. Questo fenomeno si verifica in una percentuale compresa fra il 3 e l’11% della popolazione generale, e le aree più colpite sono gli arti, soprattutto inferiori.

Si tratta di una patologia conosciuta anche con altri termini, come “flebite” o “tromboflebite superficiale”. Il termine “trombosi venosa superficiale”, però, è più corretto. Per semplicità, possiamo abbreviarlo con l’acronimo TVS.

Perché avviene questa coagulazione improvvisa del sangue? I motivi possono essere diversi. Tuttavia, ciò che contraddistingue la trombosi venosa superficiale è la sede della trombosi.
Le vene colpite, infatti, sono tutte superficiali. In particolare, esse si trovano nel tessuto sottocutaneo al di sopra della fascia che avvolge i muscoli. Questo differenzia la trombosi superficiale dalla trombosi venosa profonda (le vene profonde si trovano all’interno dei muscoli).

le vene colpite da trombosi venosa superficiale si trovano sopra la fascia muscolare

Trombosi venosa superficiale: meccanismi e cause

I meccanismi attraverso i quali si sviluppa una trombosi venosa superficiale sono principalmente tre. Essi sono il danno all’endotelio (lo strato di cellule vascolari a contatto diretto con il sangue), le alterazioni del flusso del sangue e le alterazioni della coagulazione del sangue.

Le cause della trombosi venosa superficiale invece sono molteplici, e agiscono attivando i meccanismi visti sopra.
Possiamo divederle in due gruppi. Da una parte ci sono le trombosi su vene varicose, dall’altra le trombosi su vene sane (non varicose).

Vene varicose

La presenza di vene varicose è la causa più frequente di trombosi venosa superficiale.
Cosa sono le vene varicose? Si tratta di vene dilatate e sporgenti che si sviluppano a livello delle gambe nelle persone che soffrono di insufficienza venosa. Questa malattia, legata a fattori genetici e ambientali e più frequente nelle donne, si caratterizza proprio per la perdita di funzione drenante delle vene.

Le vene varicose sono la causa più frequente di tromboflebite

In presenza di vene varicose la trombosi venosa superficiale ha una alta probabilità di verificarsi, soprattutto d’estate quando la temperatura esterna si alza. Il motivo è legato al rallentamento del flusso del sangue.
Infatti, le vene si comportano come dei tubi. Più fa caldo e più si dilatano, e più si dilatano meno velocemente il sangue scorre al loro interno. Se il sangue scorre lentamente, tende a coagulare di più.

La prevenzione della trombosi venosa superficiale è uno dei motivi per cui è opportuno trattare le vene varicose (come vedremo più avanti).

Vene non varicose

Se la trombosi venosa superficiale colpisce una vena non varicosa, le cause possono essere svariate. Vediamole una per una.

Neoplasie

L’associazione tra neoplasie e trombosi è nota da molto tempo. La forma più frequente di trombosi nei pazienti con neoplasia è proprio la trombosi venosa, che è presente nel 10-20% dei casi.

In che modo le neoplasie possono provocare una trombosi venosa superficiale?
Il primo fattore che entra in gioco è l’aumentata coagulabilità del sangue.
Le cellule tumorali, infatti, producono direttamente delle molecole che favoriscono la coagulazione del sangue. Questo processo chiama successivamente in causa anche le piastrine, che a loro volta amplificano il processo di trombosi.
Inoltre, il sangue tende a coagulare a causa di disidratazione, malnutrizione o altre condizioni critiche che si possono osservare nelle persone con gravi neoplasie.

Il secondo fattore è il rallentamento della circolazione sanguigna. I pazienti con neoplasia, infatti, possono restare a letto per molto tempo, per le condizioni critiche o perché hanno subito un intervento chirurgico. L’assenza di movimento delle gambe provoca ristagno di sangue e quindi maggiore tendenza alla coagulazione.

Il terzo fattore, cioè il danno endoteliale, può essere provocato direttamente dalle metastasi, ma anche dal posizionamento di cateteri per la chemioterapia oppure dai farmaci chemioterapici stessi.

Quali sono i tumori che più spesso provocano trombosi?
Vale la pena ricordare i tumori del pancreas, dello stomaco, dei polmoni, oltre che i tumori cerebrali, renali e ovarici.
I soggetti più a rischio sono le donne, specie se di età avanzata, e in generale i pazienti con maggiori complicazioni.

Trombofilia

Con il termine trombofilia intendiamo un insieme di condizioni genetiche e acquisite che provocano una maggiore propensione alla trombosi. Si tratta di una causa importante di trombosi venosa superficiale.
Quando è presente, la trombofilia aumenta anche il rischio che la trombosi si estenda alle vene profonde, o che si verifichi una seconda trombosi a distanza di breve tempo. Chiamiamo questo secondo fenomeno “recidiva”.

Soffermiamoci un po’ di più sulle condizioni genetiche che favoriscono la trombofilia.
Si tratta di mutazioni ereditarie dei geni coinvolti nella coagulazione del sangue. Molto semplicemente, le mutazioni di questi geni rendono più attivi i fattori della coagulazione nelle persone affette. Un esempio è la famosa mutazione del quinto fattore, chiamata fattore di Leiden.

Come si scopre se c’è una trombofilia ereditaria?
Bisogna fare dei test genetici, che sono piuttosto costosi. Le linee guida, però, raccomandano di non effettuare questi test di routine, ma solo se c’è il concreto sospetto di trombofilia.

Ma allora quando dobbiamo sospettare una trombofilia?
Se la trombosi venosa superficiale colpisce vene non varicose e abbiamo escluso la presenza di una neoplasia, la trombofilia è la prima causa da considerare. Lo stesso vale se la trombosi progredisce nonostante il paziente stia assumendo una terapia anticoagulante.

Anche quando la trombosi colpisce la safena e questa non mostra segni di insufficienza venosa, bisogna sospettare una trombofilia. Essa, infatti, è presente nel 50% di questi casi.

Infine, se la trombosi venosa superficiale colpisce pazienti di età inferiore ai 40-45 anni e con storia familiare di trombosi, va sempre sospettata una trombofilia.

In questi casi è opportuno procedere con i test.

Gravidanza

In gravidanza la donna ha un rischio di sviluppare una trombosi cinque volte maggiore rispetto alla donna non gravida. Questo accade per gli stessi meccanismi visti in precedenza, con alcune peculiarità legate proprio allo stato di gestazione.

Inoltre, in gravidanza si osserva spesso un peggioramento dell’insufficienza venosa e una maggiore dilatazione delle vene varicose. Questo favorisce a sua volta l’insorgenza di una trombosi venosa superficiale.

Per saperne di più sulla trombosi in gravidanza puoi cliccare qui.

Terapia ormonale

Gli ormoni sessuali femminili riducono il tono delle vene e fanno così diminuire la loro attività propulsiva. Di conseguenza, il sangue si muove più lentamente, favorendo l’innesco della trombosi.
Il rischio aumenta se la paziente fuma.

Per quanto riguarda la pillola anticoncezionale, essa è notoriamente un fattore di rischio per la trombosi venosa profonda, mentre non è chiaro se abbia un’associazione diretta con la trombosi venosa superficiale.

Morbo di Buerger

Questa grave patologia infiammatoria danneggia in maniera progressiva le arterie piccole e medie degli arti, provocando ostruzione, trombosi e spesso necessità di amputazione.
Colpisce pressoché esclusivamente i giovani maschi fumatori ed è diversa dall’aterosclerosi.

Tra le manifestazioni del morbo di Buerger, nel 16% dei casi si osservano trombosi venose superficiali progressive. La presenza di questa complicanza indica uno stato infiammatorio particolarmente grave. Inoltre, la presenza di trombosi venosa superficiale preclude la possibilità di operare questi pazienti con un bypass arterioso, di norma effettuato proprio utilizzando le vene sottocutanee.
La cessazione del fumo ha un sorprendente effetto di miglioramento clinico su questa patologia.

Sindromi immunologiche

La trombosi venosa superficiale si può osservare in alcune particolari sindromi immunologiche.

Sindrome di Trousseau

Questa sindrome clinica è caratterizzata da trombosi venose superficiali ricorrenti agli arti superiori e inferiori. Essa si associa tipicamente ad alcune neoplasie come tumori cerebrali, adenocarcinomi del tratto gastrointestinale (stomaco, colon e pancreas), adenocarcinomi polmonare, mammario, ovarico e prostatico. Sembra essere dovuta ad una iper-coagulabilità del sangue.

Sindrome di Mondor

Si tratta di una condizione rara che colpisce soprattutto le donne. Si manifesta con multiple trombosi venose superficiali delle vene del torace, soprattutto nelle regioni anteriore e posteriore.
Le cause non sono note. Sembra, tuttavia, che giochino un ruolo i traumi, l’uso di contraccettivi orali, e alcune forme di trombofilia.

Traumi o iniezione di sostanze irritanti

Il posizionamento di un catetere venoso per l’infusione di farmaci o un semplice prelievo del sangue possono a volte provocare una trombosi venosa superficiale. Questo avviene per un danno diretto alle cellule endoteliali delle vene.

Un prelievo di sangue può raramente causare una trombosi venosa superficiale

Il danno può essere dovuto all’azione meccanica del catetere o dell’ago oppure al danno chimico della sostanza iniettata. Quest’ultimo caso riguarda, ad esempio, i farmaci usati nella chemioterapia dei tumori e le sostanze stupefacenti iniettate per via endovenosa.

Trombosi venosa superficiale: conseguenze

I percoli principali legati a una trombosi venosa superficiale sono l’estensione della trombosi e le embolie. Il terzo problema sono le possibili recidive.

Estensione della trombosi

Consiste nella progressione del processo di coagulazione dalle vene superficiali a quelle profonde. Ciò avviene perché questi due compartimenti sono in comunicazione tra loro.
Le vene superficiali, infatti, confluiscono in quelle profonde in punti ben precisi come l’inguine e il cavo popliteo (la zona che sta dietro il ginocchio). Ci sono anche molte altre connessioni, realizzate attraverso alcune particolari vene chiamate vene perforanti. Esse attraversano i muscoli dalla superficie alla profondità connettendo i due sistemi venosi.

Tra i pazienti con trombosi venosa superficiale, una percentuale tra il 6 e il 40% ha anche una concomitante trombosi venosa profonda. Se la trombosi superficiale si verifica su vene non varicose, la probabilità di un simultaneo coinvolgimento alle vene profonde aumenta.
Le percentuali variano leggermente nei vari studi, ma ci fanno comunque capire che si tratta di una possibilità non rara.

Quando una trombosi venosa superficiale si estende alle vene profonde, il pericolo di embolie aumenta. Vediamo di cosa si tratta e perché è un rischio da evitare assolutamente.

Embolie

Si parla di embolia quando un frammento di sangue coagulato si stacca dalla sede di trombosi e segue la circolazione del sangue. Arrivato al cuore, l’embolo più probabilmente andrà a finire ai polmoni, ostruendo la circolazione e creando così un grave pericolo per la vita. Si tratta dell’embolia polmonare.

Anche se la trombosi è superficiale può verificarsi un'embolia
Se invece il cuore ha delle malformazioni, l’embolo potrebbe anche passare direttamente nelle arterie. A questo punto finirebbe per ostruire un vaso cerebrale oppure si bloccherebbe a livello degli arti. In questo caso si parla di embolia paradossa.

Secondo una recente metanalisi, nel 18% circa dei casi di trombosi venosa superficiale si verifica un’embolia polmonare.
Come abbiamo visto, il coinvolgimento di una vena profonda aumenta il rischio di embolie, ma questa complicanza può verificarsi anche se la trombosi resta in superficie. Ecco perché, come vedremo dopo, in caso di trombosi venosa superficiale è generalmente opportuno fare una terapia anticoagulante

Recidive

La trombosi venosa superficiale può recidivare se non ne viene identificata e rimossa la causa.
In caso di trombosi su vene varicose, la cura è l’intervento alle varici.
Se la trombosi si verifica su vene non varicose, il rischio di recidiva è di per sé già aumentato. Come abbiamo visto, vanno ricercate ed escluse le principali cause (neoplasie e trombofilia).

Trombosi venosa superficiale: come si riconosce?

La trombosi venosa superficiale è semplice da diagnosticare. Si manifesta con un indurimento e un arrossamento lungo il decorso della vena interessata, che di solito diventa anche dolente. Questo quadro clinico è dovuto all’infiammazione scatenata dalla coagulazione anomala del sangue.

In presenza di questi sintomi è indicato eseguire un ecocolordoppler venoso. Questo esame ha due funzioni: confermare o meno la presenza della trombosi ed escludere il coinvolgimento delle vene profonde. Si tratta di una procedura rapida, poco costosa e senza rischi per il paziente.

L'ecodoppler è l'esame fondamentale nel sospetto di trombosi

Che altre informazioni dà l’ecodoppler?
Consente di stimare l’estensione della trombosi e, in particolare, vedere se sono coinvolte le vene safene. Queste vene decorrono tra le vene di superficie e il piano muscolare, e sono strettamente collegate con le vene varicose. L’eventuale coinvolgimento delle vene safene, come vedremo più avanti, cambia l’approccio terapeutico.
L’ecodoppler permette inoltre di capire se la trombosi è recente o meno, a seconda di quanto il sangue coagulato riflette gli ultrasuoni.

Trombosi venosa superficiale: perché e come si cura?

I motivi per cui è opportuno trattare la trombosi venosa superficiale sono tre. Bisogna prevenire l’estensione della trombosi ed evitare le embolie, favorire per quanto possibile la riapertura della vena e alleviare i sintomi.
Questi effetti si ottengono rispettivamente con terapia anticoagulante, calza elastocompressiva e farmaci antinfiammatori e topici, rispettivamente.

Aggiungiamo un paio di considerazioni.
La terapia con antibiotici non è indicata in quanto la trombosi non è un fenomeno infettivo (purtroppo a volte si vede prescrivere ancora).
Quando la trombosi venosa superficiale è dovuta al posizionamento di un catetere per infusione, è indicato rimuoverlo.

Vedremo poi quando è indicato il trattamento chirurgico nei casi di trombosi venosa superficiale su vene varicose.

Terapia anticoagulante

Questa terapia sfrutta la capacità di alcuni farmaci di bloccare selettivamente la coagulazione del sangue. Ci sono le eparine per via sottocutanea e gli anticoagulanti orali.

Eparine

Le eparine per via sottocutanea rappresentano il principale trattamento per la trombosi venosa superficiale. Si tratta di sostanze anticoagulanti che si somministrano attraverso piccole punture appena sotto la cute, di solito sulla pancia. Ce ne sono di diverso tipo, e vari studi ne hanno indagato gli effetti in relazione al dosaggio.

L'eparina a basso peso molecolare è il trattamento di scelta per la TVS
Da notare che si misurano in unità internazionali (UI) e si possono somministrare una o due volte al giorno.

Eparina non frazionata – si tratta della molecola di eparina più grezza.
Uno studio ne ha esaminato l’effetto su un piccolo campione di soggetti con trombosi venosa superficiale. Si è osservata una minore frequenza di embolie polmonari nei casi trattati con alto dosaggio (12500 UI due volte al giorno) rispetto a quelli trattati con basso dosaggio (5000 UI due volte al giorno).
Non è comunque il farmaco di scelta per la trombosi venosa superficiale.

Enoxaparina – questa molecola fa parte delle eparine a basso peso molecolare.
Gli studi hanno mostrato che dosi basse ed elevate danno lo stesso risultato in termini di diminuzione di embolia polmonare, recidive ed estensione della trombosi.
Quindi, è sufficiente una dose profilattica di Enoxaparina (4000 UI al giorno) per 4 settimane per ottenere una protezione efficace.

Fundaparinux – anche questa molecola, al dosaggio di 2,5 mg al giorno, ha mostrato riduzione significativa delle embolie e dell’estensione della trombosi, oltre che miglioramento dei sintomi.
Il confronto è stato fatto con il placebo in un ampio studio che ha esaminato oltre 3000 pazienti con trombosi venosa superficiale.

Si tratta, come ribadiremo più avanti, del farmaco di scelta per il trattamento della trombosi venosa superficiale nei pazienti a basso rischio embolico.
Infatti, le linee guida del 2012 redatte dall’American College of Chest Physicians consigliano il Fundaparinux (2,5 mg al giorno per 45 giorni) piuttosto dell’Enoxaparina in caso di trombosi venosa superficiale degli arti inferiori, se estesa per almeno 5 cm.

Anticoagulanti orali

Sono farmaci che si assumono per bocca, solitamente quando dobbiamo trattare la trombosi venosa profonda.
Esistono di due tipi di anticoagulanti orali. Ci sono i dicumarolici e i farmaci di nuova generazione, chiamati DOAC’s.

Dicumarolici – sono i vecchi farmaci anticoagulanti che richiedono ripetuti prelievi del sangue per controllarne il corretto dosaggio.

DOAC’s (Direct Oral Anti Coagulants) – si tratta di farmaci di ultima generazione che non hanno bisogno di alcun prelievo ematico. Anche in questo caso, sono comunemente usati nella trombosi venosa profonda.

Si possono usare questi farmaci nella trombosi venosa superficiale? La risposta è no. L’unica eccezione esiste quando la trombosi giunge a ridosso delle vene profonde, di solito a 3 cm o meno. In questo caso la trombosi va considerata a tutti gli effetti come se fosse una trombosi venosa profonda.

Negli altri casi, l’uso degli anticoagulanti orali è oggetto di studio per quanto riguarda i farmaci di ultima generazione.
Una recente metanalisi ha mostrato efficacia dei DOAC’s nella prevenzione dell’embolia polmonare e nella diminuzione delle recidive in pazienti con trombosi venosa superficiale. In questo studio essi sono stati confrontati con i Dicumarolici, e hanno anche dimostrato minore rischio di sanguinamento (un problema comune a molti anticoagulanti).

Un altro studio ha comparato un appartenente alla famiglia dei DOAC’s, il Rivaroxaban al dosaggio di 10 mg al giorno, con il Fundaparinux da 2,5 mg. Sono stati trattati casi di trombosi venosa superficiale sotto il ginocchio estese per almeno 5 cm.
Si sono rilevate similari efficacia e sicurezza tra i due farmaci. Tuttavia, il Rivaroxaban non è attualmente raccomandato nel trattamento della trombosi venosa superficiale.

Calza elastica

La calza elastica è un dispositivo medico che esercita una compressione esterna sull’arto, favorendo lo scioglimento della trombosi e la remissione dei sintomi.
In caso di trombosi venosa superficiale, le linee-guida consigliano di indossarla associandola però alla terapia anticoagulante. Infatti, se usata in assenza di trattamento farmacologico non dà gli stessi risultati.

Che tipo di calza elastica bisogna usare?
Ci sono diversi tipi di calza elastica e ciascuno ha le sue funzioni (ne ho parlato qui). In caso di trombosi venosa superficiale bisogna usare una calza elastica terapeutica a compressione graduata.

In caso di trombosi venosa superficiale va applicata una calza elastica

Cosa significano queste due definizioni?
La tipologia d calza deve esercitare una pressione ben precisa sull’arto (terapeutica) e questa pressione deve decrescere dalla caviglia alla coscia (compressione graduata). Negli studi analizzati essa è stata applicata per tre settimane.

Eparinoidi topici

Sono farmaci che si applicano sotto forma di pomate direttamente nella zona colpita da trombosi. Agiscono riducendo l’infiammazione attorno alla vena e alleviando i sintomi.
Non c’è evidenza che riducano il rischio di embolie o di trombosi recidive.

FANS

Sono i farmaci antinfiammatori non steroidei che si usano comunemente per il dolore.
Alcuni studi hanno mostrato che essi riducono sia l’estensione della trombosi sia la frequenza di recidive se comparati con il placebo, ma in misura minore rispetto alle eparine. Ciò è dovuto alla loro azione sulle piastrine, che sotto il loro effetto tendono ad attivarsi di meno mantenendo il sangue un po’ più fluido.

I FANS sono indicati se la trombosi venosa superficiale è poco estesa (meno di 5 cm) e se c’è un basso rischio trombo-embolico.

Terapia chirurgica

Può servire un intervento chirurgico in caso di trombosi venosa superficiale?
Se le vene colpite sono non varicose, la chirurgia è sconsigliata perché non risolverebbe il problema.
In queste situazioni, infatti, è indicata la terapia anticoagulante. Questo vale a maggior ragione in presenza di concomitante trombosi venosa profonda o embolia polmonare.

Se le vene sono varicose, il discorso è diverso.
Dobbiamo distinguere la fase acuta della trombosi dalla fase stabilizzata.

Fase acuta

Quando la trombosi è in fase acuta, cioè si è appena verificata, l’obiettivo dell’intervento chirurgico dovrebbe essere quello di alleviare i sintomi e bloccare la progressione del trombo nelle vene profonde. Per questo sono state studiate diverse procedure chirurgiche per capire se portassero un reale beneficio.

Gli studi in letteratura, a tale proposito, sono molteplici.
I risultati hanno mostrato che, in effetti, nella fase acuta la chirurgia sembra alleviare i sintomi e l’estensione della trombosi venosa superficiale. Il livello di evidenza, però, è risultato basso.
D’altra parte, in termini di coinvolgimento delle vene profonde ed embolia, non sembra esserci un reale vantaggio della chirurgia rispetto alla terapia anticoagulante.
Dobbiamo anche tenere presente che effettuare un intervento nella fase acuta potrebbe essere addirittura controproducente. Alcuni studi, infatti, mostrano che il trauma chirurgico attiverebbe paradossalmente la coagulazione del sangue provocando embolie.

In conclusione, nella fase acuta della trombosi venosa superficiale il trattamento che generalmente si consiglia è la terapia anticoagulante.

C’è però una situazione particolare, che abbiamo in parte visto prima.
Essa si verifica quando la trombosi venosa superficiale coinvolge le vene safene giungendo a ridosso della loro confluenza con le vene profonde. In questo caso, il trombo potrebbe estendersi facilmente al sistema venoso profondo e l’interruzione chirurgica della vena colpita potrebbe essere utile ad evitarlo.

Anche questa situazione è stata molto dibattuta in letteratura.
Secondo le attuali linee-guida italiane, sia la legatura/asportazione chirurgica della vena sia la terapia anticoagulante sono in questi casi soluzioni applicabili. Infatti, non ci sono studi che abbiano chiaramente dimostrato la superiorità di una terapia rispetto all’altra.
Nella pratica clinica, tuttavia, anche in questa condizione si tende a preferire la terapia anticoagulante. Essa, come abbiamo visto, va somministrata ad alto dosaggio come si fa nella trombosi venosa profonda.

Fase stabilizzata

Dopo la che la trombosi venosa superficiale si è stabilizzata è opportuno intervenire chirurgicamente asportando le vene varicose. In questo modo si prevengono efficacemente le trombosi recidive.

L’intervento può consistere nella chiusura di un breve tratto di safena, ad esempio con il laser. Questa procedura si può associare o meno alla rimozione delle varici attraverso piccolissime incisioni (flebectomia ambulatoriale).

Trombosi venosa superficiale: indicazioni terapeutiche

Riassumiamo quindi le principali indicazioni terapeutiche in caso di trombosi venosa superficiale.

1. Trombosi poco estesa (meno di 5 centimetri), localizzata sotto il ginocchio e lontana da vene perforanti e safene: la terapia si può limitare a pomate eparinoidi, FANS e utilizzo di calza elastica.

2. Trombosi estesa per oltre 5 centimetri, o coinvolgente le vene safene o ancora in presenza di un maggiore rischio di embolie per qualsivoglia motivo: opportuna terapia anticoagulante (Fundaparinux 2,5 mg al giorno per 45 giorni).

3. Trombosi che giunge a ridosso delle vene profonde (3 cm o meno): terapia anticoagulante a dosaggio alto per almeno 3 mesi.

Conclusioni

La trombosi venosa superficiale è una patologia da non sottovalutare.
Abbiamo visto, infatti, che può complicarsi con una embolia polmonare, anche se con minore probabilità rispetto alla trombosi venosa profonda.

In presenza di sintomi, soprattutto se si è soggetti predisposti, bisogna effettuare quanto prima un ecodoppler venoso. L’esame serve a confermare la diagnosi e a ottenere informazioni importanti per scegliere la terapia idonea.

Questa patologia può anche essere la spia di problemi gravi come la trombofilia o un tumore. D’altra parte, una volta trattata la trombosi, è opportuno eliminare le cause che l’hanno provocata per non incorrere in una recidiva.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6880617/pdf/jvb-18-e20180105.pdf

https://journal.chestnet.org/action/showPdf?pii=S0012-3692%2812%2960129-9

https://www.sdb.unipd.it/sites/sdb.unipd.it/files/Anfiologia%20Flebologia%20Linne%20Guida%202016.pdf

https://www.journal-of-cardiology.com/action/showPdf?pii=S0914-5087%2818%2930061-3

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28613608/

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/jth.12986

Vaccino AstraZeneca e trombosi: cosa sappiamo?

La sospensione temporanea del vaccino AstraZeneca a seguito di sporadici episodi di trombosi ha provocato una forte preoccupazione nella popolazione del nostro paese.
Questi eventi hanno indotto gli organi competenti a interrompere le somministrazioni e far luce su quanto accaduto, per poi dare nuovamente il via libera al vaccino dopo le verifiche del caso.

Ciononostante, molte persone in attesa della vaccinazione sono preoccupate e chi ha fattori di rischio per trombosi non sa come comportarsi.
Inoltre, i media forniscono informazioni spesso imprecise, contribuendo ad aumentare la confusione tra le persone.

Esiste un maggior rischio legato al vaccino nelle persone che hanno problemi di trombosi? In questi casi la vaccinazione è consigliata oppure no?

Per rispondere a queste domande ho analizzato lo stato attuale delle conoscenze su SARS-CoV-2, vaccino Astrazeneca e trombosi, e le principali indicazioni in materia fornite dagli organi competenti.

Covid-19 e problemi di coagulazione

Il virus SARS-CoV-2, responsabile della pandemia Covid-19, può provocare una grave forma di insufficienza respiratoria, con esito anche fatale.
Sin dalle prime fasi dell’epidemia, però, si è capito che questa malattia provoca soprattutto una disfunzione dell’endotelio dei vasi sanguigni.

Cos’è l’endotelio? Si tratta di un tessuto vascolare che si trova direttamente a contatto con il sangue e le cui cellule svolgono importanti funzioni, come la regolazione dell’infiammazione e della coagulazione ematica.

Il Covid-19 colpisce l'endotelio dei vasi sanguigni

Il virus SARS-CoV-2 sfrutta un particolare enzima dei nostri tessuti, chiamato ACE-2, attraverso il quale entra nelle cellule bersaglio e le infetta.
Le cellule più ricche di questa molecola sono quelle dell’endotelio e del cuore, e questo spiegherebbe perché nei pazienti colpiti da Covid-19 si osserva un’estesa disfunzione vascolare, più di quanto accada nei pazienti con virus dell’influenza.

Come si manifesta questo danno vascolare?
Quando il virus infetta le cellule, queste rispondono producendo molecole-segnale che attivano la risposta infiammatoria e la coagulazione del sangue, con lo scopo di combattere l’infezione.

Generalmente questa risposta è auto-limitante, ma nel caso del Covid-19, a causa delle particolari caratteristiche del virus, essa ha un’intensità maggiore.
A dimostrazione di questo, i pazienti affetti da forme gravi di Covid-19 presentano nel sangue alti livelli di fibrinogeno, FDP e D-dimero, tutte molecole coinvolte nel processo coagulativo.

La conseguenza di questa diffusa alterazione dei vasi sanguigni può essere una trombosi, che colpisce arterie, vene e capillari e che potenzialmente danneggia gli organi interni come il cuore e i polmoni.
Tra l’altro, si è osservato che contrarre la malattia costituisce un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di ictus cerebrale.

Covid-19 e trombosi venosa

Cosa succede invece nelle vene delle gambe?
Nelle autopsie dei pazienti deceduti per Covid-19 si sono osservate, oltre a trombosi dei vasi sanguigni polmonari, anche segni di trombosi venosa profonda degli arti inferiori.
Questa patologia compare generalmente in acuto a seguito di gravi traumi o fratture, o ancora dopo interventi chirurgici, neoplasie o prolungata immobilizzazione a letto.

Il rischio principale di una trombosi venosa profonda consiste nel distacco di un coagulo, che seguendo la circolazione del sangue finisce per ostruire i vasi polmonari.
La conseguenza di questo fenomeno è l’embolia polmonare, una grave sindrome clinica caratterizzata da difficoltà a respirare che può essere anche fatale.

Gli studi di cui disponiamo ad oggi mostrano che, nei pazienti ospedalizzati per Covid-19, c’è un’aumentata incidenza di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare.
La percentuale arriva al 20-25% dei casi e riguarda maggiormente i pazienti in terapia intensiva o comunque in condizioni gravi, come documentato da un recente studio olandese.
Inoltre, un dato particolarmente significativo è che molti pazienti hanno sviluppato trombosi venose nonostante la profilassi con somministrazione di eparina.

Ma siamo certi che nei pazienti gravi la causa della trombosi sia proprio il Covid-19?
Di certo è vero che uno stato settico, cioè una risposta infiammatoria generalizzata dell’organismo, favorisce in generale i fenomeni di coagulazione, ma si è anche osservato un maggiore numero di trombosi nei pazienti infettati da Covid-19 rispetto ad altri di pari gravità ma con altre cause di sepsi.
Per quanto riguarda l’incidenza di trombosi venosa dopo la dimissione dall’ospedale, non ci sono al momento dati sufficienti.

Ciò che non conosciamo ancora è l’incidenza della trombosi venosa nella popolazione globale di pazienti colpiti da Covid-19 (la conosciamo solo tra gli ospedalizzati), così come non è chiaro quali siano, tra i pazienti positivi, quelli maggiormente a rischio di trombosi venosa.

Le incognite sono tante, ma sembra esserci un chiaro legame tra infezione da SARS-CoV-2 e fenomeni di eccessiva coagulazione del sangue.
Per questo motivo si è iniziato precocemente a trattare i pazienti più gravi con la terapia anticoagulante.

Vaccino AstraZeneca: come funziona

Il vaccino AstraZeneca è un vaccino monovalente composto da un Adenovirus ricombinante dello scimpanzè, reso incapace di replicarsi, che funge da vettore per la sintesi della glicoproteina S del SARS-Cov-2.
Detta in termini più semplici, dentro il vaccino c’è un virus animale, inattivo, che trasporta un pezzo del SARS-Cov-2 sotto forma di informazione genetica, con lo scopo di “presentarlo” al nostro organismo affinché questo attivi una risposta immunitaria.

Infatti, una volta somministrato il vaccino, l’espressione della proteina virale stimola una risposta immunologica sia anticorpale che cellulare, che servirà a proteggere l’organismo dall’infezione.

Nel nostro paese il vaccino AstraZeneca viene somministrato ai soggetti di età superiore ai 18 anni in due sessioni distinte, intervallate tra loro da un periodo che varia da 4 a 12 settimane.
Gli eccipienti contenuti nella preparazione sono una quantità minima di sodio e di etanolo.

La durata della protezione di questo vaccino non è nota, in quanto sono ancora in corso studi volti ad accertare questo dato.

Vaccino AstraZeneca: i casi di trombosi

Il 18 marzo 2021 il comitato di sicurezza dell’EMA (European Medicines Agency), denominato PRAC, si è riunito in una sessione straordinaria per far luce su alcuni rari casi di trombosi verificatisi a seguito della somministrazione del vaccino AstraZeneca.
Per analizzare efficacemente quanto avvenuto, i membri di questo comitato si sono interfacciati con esperti di malattie del sangue e istituzioni sanitarie, come l’MHRA del Regno Unito.

Cosa è accaduto?
Alla data del 16 marzo, circa 20 milioni di persone avevano ricevuto il vaccino AstraZeneca in un’area geografica comprendente il Regno Unito e l’EEA (Economic European Area).

All’interno di questa popolazione si sono osservati 7 casi di CID (coagulazione intravasale disseminata) e 18 casi di trombosi del seno cavernoso cerebrale (chiamata in inglese CVST), per un totale di 9 decessi.
Queste complicanze sono insorte all’interno dei 14 giorni successivi alla vaccinazione (prevalentemente dopo i primi 3 giorni), e i pazienti colpiti erano per lo più di sesso femminile e di età inferiore ai 55 anni.

In cosa consistono queste forme di trombosi?
Di seguito le analizzeremo nel dettaglio per capire come si differenziano dalle trombosi legate a problemi venosi delle gambe.

CID

La Coagulazione Intravasale Disseminata è una grave sindrome clinica caratterizzata da una attivazione generalizzata della coagulazione del sangue, che determina una trombosi diffusa dei vasi sanguigni di piccolo e medio calibro.
Le conseguenze di questa patologia possono essere una disfunzione multi-organo e un sanguinamento massivo, causato dal consumo eccessivo dei fattori della coagulazione.

Quali sono le cause?
Questa sindrome può verificarsi in seguito a gravi infezioni, neoplasie solide o tumori delle cellule del sangue, o ancora traumi, rottura di aneurismi o malattie del fegato.

In caso di gravi infezioni, ad esempio, la risposta infiammatoria dell’organismo attiva massivamente la coagulazione del sangue attraverso le sue molecole segnale, provocando sepsi e disfunzione dei vari organi.
A seguito di neoplasie come le leucemie, al contrario, viene attivato maggiormente il sistema opposto a quello coagulativo, che è responsabile dello scioglimento dei coaguli.
In questo caso, il sintomo prevalente sarà il sanguinamento incontrollato.

CVST

La Trombosi del Seno Cavernoso Cerebrale è una rara causa di ictus cerebrale, causata dalla coagulazione improvvisa del sangue all’interno di una importante vena situata nel cranio e deputata a raccogliere il sangue dal cervello.

Ogni anno si verificano da 2 a 5 casi di CVST per ogni milione di persone, e si tratta per lo più di donne di età relativamente giovane.
I sintomi di esordio di questa grave sindrome sono intensa cefalea, convulsioni e problemi neurologici come paralisi o perdita della sensibilità agli arti.

Da cosa è provocata?
Le cause non sono note, ma la CVST sembra correlarsi a preesistenti problemi di coagulazione del sangue, traumi, utilizzo di pillola anticoncezionale o presenza di tumori.
Un recente studio eseguito negli ospedali della città di New York, inoltre, ha analizzato 3 casi di CVST riscontrati in pazienti affetti da Covid-19.
Seppur con caratteristiche diverse (erano colpiti anche maschi), si ipotizza che l’infezione da SARS-CoV-2 possa rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di questa grave patologia.

Vaccino AstraZeneca e trombosi: le attuali indicazioni

La riunione straordinaria del PRAC ha messo in luce che i benefici del vaccino AstraZeneca superano di gran lunga i rischi legati all’infezione da SARS-CoV-2, e pertanto la campagna vaccinale ha ripreso il suo iter.

Il vaccino non risulta essere associato ad un aumento globale del rischio di trombosi ed embolie nei soggetti riceventi, né c’è evidenza di problemi relativi a particolari lotti di farmaco o siti di produzione malfunzionanti.
Questo significa che, al momento, non c’è alcuna evidenza che soggetti a rischio di trombosi venosa (pregresse trombosi venose, mutazioni genetiche predisponenti, assunzione di pillola anticoncezionale, storia di flebiti e vene varicose) siano a maggior rischio di tali eventi se si vaccinano.

Infatti, il numero di casi di trombosi ed embolia verificatisi dopo il vaccino è risultato addirittura inferiore a quello atteso nella popolazione generale; rimane solamente, a giudizio del PRAC, qualche preoccupazione nei pazienti più giovani.

Sempre in base a quanto appurato dal comitato, il vaccino potrebbe essere associato a casi estremamente rari di CID con bassi livelli di piastrine, con o senza episodi di sanguinamento, e di CVST.
Infatti, per quanto riguarda queste particolari forme di trombosi, il numero di casi riscontrati dopo la vaccinazione è risultato superiore a quello atteso nella popolazione generale.
Il nesso causale non è provato, ma non si può al momento escludere con certezza.

Il 19 marzo 2021 l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha preso atto della riunione straordinaria del PRAC e ha emesso a sua volta una circolare, che di fatto ha permesso di riprendere la vaccinazione con AstraZeneca nel territorio nazionale.

Il 22 marzo, infine, il NIH (National Institutes of Health) ha riportato i risultati provenienti da AstraZeneca e relativi ad un ampio studio condotto negli Stati Uniti e in Sud America, che confermerebbe l’efficacia protettiva del vaccino nei confronti della malattia Covid-19, ribadendone la buona tollerabilità.
In particolare, lo studio è stato analizzato dal DSMB, un organo americano indipendente che monitora dati e sicurezza degli studi scientifici, con un focus specifico anche sui fenomeni di trombosi.
Il risultato emerso è che, in questo ampio studio, non c’è evidenza di un aumento del rischio generico di trombosi e di sviluppo di CVST nei pazienti che hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca.

A onor del vero, il 23 marzo lo stesso DSMB ha espresso preoccupazione relativamente alla presenza, all’interno dello studio, di dati obsoleti che potrebbero aver inficiato le conclusioni sull’efficacia del vaccino, invitando l’azienda produttrice a fare chiarezza in merito.
La situazione è in continua evoluzione, e allo stato attuale il vaccino AstraZeneca è in attesa di approvazione da parte della FDA per essere utilizzato negli Stati Uniti.

Conclusioni

L’infezione da SARS-CoV-2 si associa ad un’aumentata tendenza alla trombosi e può risultare particolarmente pericolosa in pazienti con fattori di rischio predisponenti.
Di conseguenza, le persone che hanno avuto trombosi venose in passato o che hanno familiarità, mutazioni geniche predisponenti o ancora soffrono di flebiti ricorrenti o problemi venosi, sono maggiormente destinate a beneficiare della vaccinazione.

Bisogna ricordare, poi, che il termine “trombosi” è piuttosto generico. Infatti, la CID e la trombosi del seno cavernoso cerebrale sono sindromi trombotiche rare, completamente diverse dalle trombosi venose delle gambe sia per cause e caratteristiche cliniche che per tipologia di soggetti colpiti.
Leggendo i giornali, però, capita di imbattersi in titoli fuorvianti, nei quali il termine “trombosi” viene utilizzato in maniera non precisa. Questo aumenta lo stato di allarme tra i non addetti ai lavori, che spesso non hanno gli strumenti per capire realmente di cosa si stia parlando e per cercare le giuste fonti di informazione.

In conclusione, chi sa di essere a rischio di trombosi è in pericolo maggiore se sviluppa la malattia piuttosto che se si sottopone alla vaccinazione. Secondo i dati più recenti, il vaccino AstraZeneca sembra essere efficace e ben tollerato, e il nesso causale con queste rare forme di trombosi non è certo, pur essendo possibile.
Sicuramente serviranno ulteriori studi per verificare la realtà dei fatti.

Per quanto riguarda eventuali sintomi di allarme, secondo il comunicato dell’EMA bisogna richiedere assistenza medica urgente se dopo la vaccinazione compaiono mancanza di respiro, dolore toracico, gonfiore, dolore o ipotermia improvvisi ad un arto, visione offuscata o grave cefalea, sanguinamento persistente, comparsa di multipli ematomi o tumefazioni rosso-violacee sotto la cute.

Fonti

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https://www.ema.europa.eu/en/documents/product-information/covid-19-vaccine-astrazeneca-epar-product-information_en.pdf

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https://www.strokejournal.org/action/showPdf?pii=S1052-3057%2820%2930852-1

https://www.nih.gov/news-events/news-releases/investigational-astrazeneca-vaccine-prevents-covid-19

https://www.nih.gov/news-events/news-releases/niaid-statement-astrazeneca-vaccine

La trombosi in aereo è una complicanza non infrequente dei voli a lungo raggio

Trombosi in aereo: chi è a rischio e come si può prevenire

La comparsa di una trombosi in aereo è una evenienza non infrequente e probabilmente sottostimata, che può verificarsi quando si effettuano viaggi aerei a lungo raggio.

La causa prevalente della trombosi in aereo è la presenza di fattori di rischio individuali, che aumentano la possibilità di trombosi e di conseguenti embolie.
Bisogna considerare, però, che durante il viaggio si creano particolari condizioni fisiche e climatiche all’interno dell’aereo, le quali aumentano ulteriormente il rischio e possono tuttavia essere contrastate.

In genere, capita spesso di avvertire gonfiore e pesantezza alle gambe durante il volo; questi sintomi regrediscono di solito abbastanza rapidamente, dopo l’atterraggio o al massimo nel giro di qualche giorno.
Alle volte, però, un gonfiore o un dolore acuto possono comparire a distanza di giorni dal volo; in questo caso è bene insospettirsi e recarsi quanto prima ad effettuare un ecodoppler, per escludere la presenza di una trombosi.

Conoscere il problema della trombosi in aereo è molto importante, così come è importante sapere se si è a rischio di svilupparla.
In questo modo si potranno adottare delle misure preventive o effettuare una profilassi con farmaci, quando necessario.

In questo articolo vedremo quando un volo si definisce a lungo raggio, in che modo aumenta il rischio di trombosi e cosa fare per evitarla.

Che cos’è la trombosi in aereo

La trombosi in aereo è un evento caratterizzato dalla coagulazione improvvisa del sangue all’interno di una vena, tipicamente degli arti inferiori, che si verifica in relazione ad un volo di lunga durata.
Le vene interessate possono essere quelle superficiali, localizzate nel tessuto sottocutaneo, oppure quelle profonde, che si trovano nel contesto delle masse muscolari vicino alle rispettive arterie.

Se la trombosi è superficiale i sintomi sono generalmente il dolore e l’arrossamento lungo il decorso della vena, ed il rischio di complicazioni gravi è basso.
Quando sono interessate le vene profonde, al dolore si accompagna spesso un gonfiore improvviso; in questi casi la sede più colpita è il polpaccio ed il rischio di embolie è elevato.

ecodoppler venoso

I meccanismi attraverso i quali si sviluppa una trombosi in aereo si verificano tipicamente durante il volo, mentre la trombosi vera e propria si manifesta di solito a distanza di qualche giorno dall’atterraggio, generalmente entro le prime due settimane.
Il rischio di trombosi rimane comunque presente per circa quattro settimane.

Per quanto riguarda le dimensioni del problema, gli studi più vasti che sono stati effettuati (LONFIT) mostrano che nei i soggetti sani il rischio è relativamente basso (circa l’1,6% dei casi), mentre nella popolazione con fattori di rischio la percentuale aumenta nettamente, arrivando al 5%.

Questi dati rappresentano però la punta di un iceberg, in quanto la maggior parte delle ricerche effettuate non comprende i casi asintomatici e parte di quelli che si manifestano a distanza di tempo dal viaggio aereo.
Questo spiega il perché la trombosi in aereo sia un problema facilmente sottostimato.

Conseguenze della trombosi in aereo

Il pericolo principale legato ad una trombosi in aereo è l’embolia polmonare.
Si tratta di una complicanza più spesso conseguente alle trombosi venose profonde, quando frammenti di sangue coagulato si staccano dalla sede di trombosi e, trasportati dal flusso del sangue, raggiungono i polmoni dove bloccano la circolazione.

Un’embolia polmonare si manifesta di solito con dolore al torace e difficoltà a respirare, ma può assumere quadri clinici gravi che mettono a rischio anche la vita, e richiedono quindi un trattamento immediato.

La seconda conseguenza della trombosi in aereo è rappresentata dalla comparsa di un gonfiore ingravescente alla gamba, che inizia nella fase acuta e persiste poi nel tempo.
Questo gonfiore è dovuto inizialmente al blocco del flusso sanguigno conseguente alla trombosi, e successivamente agli esiti che la trombosi lascia sulla vena colpita.

Infatti, dopo che la trombosi si è risolta, le valvole venose possono rimanere danneggiate e non riescono più a svolgere la loro funzione di diga, tramite la quale sono in grado di bloccare la caduta del sangue verso il basso.
Di conseguenza, il sangue stesso refluisce verso le caviglie e lì tende a ristagnare, facendo peggiorare il gonfiore e causando addirittura la comparsa di ulcere.
Si tratta della cosiddetta “sindrome post trombotica”, che va trattata con l’applicazione di bendaggi decongestivi e successivamente con una calza elastica adeguata.

Cause della trombosi in aereo

Le cause della trombosi in aereo si dividono in fattori ambientali, che si sviluppano all’interno del velivolo, e in fattori intrinseci del soggetto. Questi ultimi, come abbiamo detto, sono quelli che hanno un peso maggiore.

I meccanismi attraverso i quali le varie cause portano al verificarsi di una trombosi sono principalmente tre: il ristagno di sangue, il danneggiamento della parete venosa e lo stato di aumentata coagulabilità del sangue.

Di seguito vedremo i vari fattori causali e i meccanismi attraverso i quali aumentano il rischio di trombosi in aereo.

Fattori ambientali

Si tratta di alcune condizioni climatiche e fisiche che si vengono a creare all’interno del velivolo durante il volo.

Ipossia

L’ipossia è la diminuzione della quantità di ossigeno nell’aria.
All’interno dell’aereo, per ragioni di risparmio sul carburante, viene mantenuta una pressione atmosferica di ossigeno simile a quella che si trova in alta montagna, precisamente ad una altitudine compresa tra 1800 e 2400 metri.

Questa improvvisa minore concentrazione di ossigeno che si viene a creare al momento della chiusura degli sportelli, chiamata ipossia ipobarica acuta, può favorire la trombosi in aereo perché attiva direttamente la coagulazione del sangue.
La stessa coagulazione, peraltro, tende a normalizzarsi dopo una prolungata acclimatazione.

L’aria nella cabina, avendo una pressione più bassa, esercita anche una minore pressione esterna sulle gambe, rendendo più difficile il ritorno del sangue venoso al cuore.
Le vene, infatti, pompando il sangue contro gravità, si giovano del supporto della pressione atmosferica esterna, che in aereo viene a mancare.

Disidratazione

Durante il volo l’umidità dell’aria tende a diminuire rapidamente all’interno dell’aereo, raggiungendo un valore compreso tra il 3% e il 15%. Questo provoca una forte disidratazione delle mucose del corpo e in generale un calo dei liquidi dell’organismo.

La disidratazione è responsabile di una progressiva concentrazione del sangue, dovuta proprio al calo della sua componente liquida, situazione che favorisce la coagulazione perché aumenta la facilità di contatto tra le piastrine e di conseguenza la loro attivazione.
In questo modo, una trombosi venosa può innescarsi più facilmente.

In aggiunta, l’assunzione spesso frequente di bevande alcoliche, di tè o caffè peggiora ulteriormente la disidratazione, perché queste sostanze sono notoriamente diuretiche e andrebbero quindi evitate.

Posizione durante il volo

Si tratta probabilmente del fattore ambientale più importante.
In condizioni normali, il sangue proveniente dalle gambe viene pompato contro gravità verso il cuore grazie all’azione dei muscoli del polpaccio, che si azionano in sinergia con le valvole venose quando camminiamo.

Mantenere una posizione seduta prolungata durante il volo aereo causa un persistente ristagno di sangue nelle gambe, perché gli angoli tra le articolazioni bloccano il flusso venoso e i muscoli del polpaccio non lavorano.
Inoltre, la pressione esercitata dal bordo del sedile sul lato posteriore delle cosce, incrementata dalla tipica posizione con le gambe accavallate che si assume nelle classi economiche, può provocare un danno diretto alle cellule della parete venosa.

A questo proposito, per molto tempo si è ipotizzata l’esistenza di una “trombosi della classe economica”, proprio in relazione ai posti a sedere particolarmente stretti di questa classe di viaggio, che favorirebbero maggiormente la trombosi rispetto a quelli delle classi più privilegiate.

la trombosi in aereo può essere favorita dalla posizione assunta durante il volo

In realtà, alcuni studi hanno mostrato che c’è una differenza minima in termini di rischio tra i passeggeri della classe economica rispetto a quelli della businness o della prima classe.
Il caso del presidente americano R. Nixon è emblematico, in quanto fu vittima di una trombosi profonda nel 1974 mentre viaggiava dagli Stati Uniti all’Europa e all’Unione Sovietica; trovandosi a bordo dell’aereo presidenziale, possiamo facilmente dedurre che si trovasse in una posizione di viaggio tutt’altro che scomoda.

D’altra parte, altri studi rivelano che i passeggeri seduti vicino al finestrino hanno un rischio due volte maggiore di sviluppare una trombosi rispetto a quelli sul lato corridoio, sempre in relazione alle posizioni assunte durante il viaggio e alla possibilità di camminare frequentemente durante il volo.
Questo vale soprattutto per i soggetti obesi.

Ritenzione idrica

Anche se provoca una progressiva disidratazione corporea, un volo a lungo raggio determina una significativa ritenzione idrica nelle gambe, che possono gonfiarsi o risentire di pesantezza e indolenzimento.
Questo accumulo di liquidi, se importante, potrebbe comprimere le vene muscolari delle gambe e favorire la trombosi.

La causa di questi disturbi è sempre legata al ristagno di sangue, dovuto a sua volta a posizione scorretta e poco movimento muscolare durante il viaggio.

Durata del volo

Sebbene non ci sia un consenso unanime che definisca quando un volo può essere considerato a lungo raggio, ci sono chiare evidenze di correlazione tra voli aerei di durata superiore alle sei ore e sviluppo di trombosi.
L’intervallo considerato riguarda solo il tempo passato in aereo, e non quello di attesa in aeroporto o nelle zone di transito.

Il rischio di trombosi in aereo aumenta se il volo supera le sei ore

Inoltre, i dati scientifici ci dicono che il rischio di trombosi in aereo è di oltre due volte più alto nei voli lunghi rispetto ai voli brevi, e aumenta del 23% circa per ogni due ore aggiuntive di volo.

Fattori relativi al passeggero

Alcune patologie o predisposizioni genetiche aumentano il rischio di trombosi in aereo, e tutti i soggetti con fattori di rischio addizionali si sono mostrati a maggior rischio di sviluppare il problema.

Sesso femminile, gravidanza e terapia ormonale

Il sesso femminile sembra essere un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di embolie polmonari nei voli a lungo raggio, e le donne in gravidanza sono colpite da trombosi in aereo in un volo ogni 100 circa.
Un grosso studio effettuato in Olanda ha mostrato che l’assunzione di contraccettivi orali determina un rischio 40 volte maggiore di sviluppare una trombosi in aereo nei voli a lungo raggio. Le donne che assumono terapia ormonale sostitutiva, invece, hanno un rischio di sviluppare trombosi in uno ogni 400 voli circa.

Altri fattori

I soggetti sovrappeso ma soprattutto i soggetti obesi, cioè con indice di massa corporea (BMI) superiore a 30, sono a maggior rischio di trombosi nei voli a lungo raggio, soprattutto se sono seduti vicino al finestrino.

Il rischio di trombosi in aereo è maggiore nei soggetti obesi spesie se seduti vicino al finestrinoo

Inoltre, essere stati sottoposti ad interventi chirurgici poco prima del volo aumenta di 20 volte circa il rischio di trombosi in aereo.
Anche la presenza di una neoplasia, che già di per sé aumenta il rischio di trombosi, incrementa il rischio, che arriva ad essere di 18 volte più alto rispetto agli individui sani, sempre nei voli a lungo raggio.

Per quanto riguarda la predisposizione genetica, ci sono diverse mutazioni di geni coinvolti nella coagulazione del sangue che determinano un aumento generale del rischio di trombosi.
Per quanto riguarda i voli a lungo raggio, i dati sono controversi; sembra, però, che le persone con mutazione della quinta proteina della coagulazione (il cosiddetto fattore di Leiden) abbiano un rischio 8 volte maggiore di sviluppare una trombosi in aereo rispetto ai soggetti normali.

Altri fattori che favoriscono la trombosi nei voli a lungo raggio sono la statura molto alta, l’età avanzata, i traumi recenti con immobilizzazione prolungata, aver avuto precedenti trombosi venose, la presenza di insufficienza venosa cronica di grado severo, lo scompenso cardiaco, la storia familiare di trombosi, il diabete e l’ipertensione.

Come prevenire la trombosi in aereo

Per prevenire la trombosi in aereo si possono adottare alcune misure preventive per contrastare i cambiamenti ambientali che si verificano all’interno dell’aereo.
In casi particolari, invece, questo non è sufficiente, e bisogna effettuare una profilassi con l’utilizzo di calze elastiche o farmaci.

Misure preventive

Si tratta di comportamenti che possiamo adottare durante il viaggio e che contrastano i fattori causali ambientali di trombosi.

Idratazione

Idratarsi adeguatamente prima e durante il volo aiuta a mantenere la giusta quantità di liquidi nell’organismo e permette di evitare una eccessiva concentrazione del sangue. Bisogna bere acqua o bevande analcoliche evitando gli alcolici, il tè e il caffè, perché stimolano la diuresi e quindi la perdita di liquidi.

Una idratazione adeguata, inoltre, contrasta gli effetti della scarsa umidificazione dell’aria, che oltre a contribuire alla disidratazione secca le mucose favorendo raffreddore e mal di gola.

Il consiglio riportato negli studi che ho esaminato è di bere almeno un bicchiere d’acqua ogni 2 ore di volo; credo però che si possa tranquillamente bere una quantità maggiore di acqua.

Attivazione muscolare

Per prevenire il ristagno eccessivo di sangue nelle gambe e il conseguente rischio di trombosi, è opportuno effettuare durante il volo esercizi di dorsi-flessione della caviglia; in questo modo si attiva la pompa muscolare del polpaccio e si favorisce il movimento del sangue stesso.

Per lo stesso motivo, le linee guida americane dell’ACCP (American College of Chest Physician) raccomandano a chi è a rischio di trombosi di sedersi vicino al corridoio e di effettuare brevi e frequenti passeggiate quando l’aereo è in quota.

Posizione di viaggio

Oltre agli esercizi muscolari, è importante prestare molta attenzione alla posizione assunta durante il viaggio.
Il sedile va reclinato il più possibile, mantenendo un angolo maggiore di 90 gradi, e le gambe vanno stese sotto il sedile di fronte per evitare l’eccessiva flessione tra le articolazioni, che ostacolerebbe il flusso del sangue.

Per lo stesso motivo, bisognerebbe evitare di posizionare bagagli tra le gambe e il sedile di fronte e non si dovrebbero accavallare le gambe, in quanto questa posizione è molto pericolosa per la circolazione venosa.
Consiglio anche di non abusare di sonniferi durante il volo, perchè più facilmente portano ad assumere posizioni scorrette durante il sonno.

Le gambe andrebbero mosse e allungate con semplici esercizi per 2 minuti circa ogni ora, e bisognerebbe camminare per 3 minuti circa ogni ora di volo.

Indumenti

Un altro accorgimento importante, soprattutto per le donne, è quello di non indossare pantaloni troppo attillati o comunque stringenti a livello dell’inguine o della vita, mentre negli uomini vanno evitati i calzini troppo stretti perché potrebbero causare un effetto laccio sotto il ginocchio.

In queste situazioni il flusso di sangue venoso, già ostacolato dalla posizione seduta, risulterebbe infatti ancora di più bloccato.

Profilassi

Consistono nell’utilizzo di dispositivi di tipo medico come le calze elastocompressive, oppure nella somministrazione di terapia farmacologica per rendere il sangue più fluido.

Calza elastica

La calza elastocompressiva esercita una pressione esterna su tutto l’arto inferiore o su una sua parte, a seconda della tipologia, facilitando il flusso di sangue venoso verso il cuore e riducendo il rischio di trombosi.
Per questo motivo, oltre a limitare il gonfiore delle gambe, l’utilizzo di una calza aiuta a prevenire la trombosi in aereo.

 

Si può prevenire una trombosi in aereo utilizzando una calza elastica

Una recente revisione della letteratura ha mostrato che l’utilizzo di una calza a compressione graduata (GECS in inglese) ha una alta evidenza di efficacia nel prevenire la trombosi in aereo, soprattutto nella sua forma asintomatica.
D’altra parte, sembra esserci minore evidenza nella riduzione del gonfiore e moderata evidenza nella prevenzione delle trombosi superficiali.

Secondo recenti linee guida, in caso di volo a lungo raggio le persone a rischio di trombosi in aereo dovrebbero indossare una calza elastocompressiva con pressione alla caviglia da 15 a 30 mmHg, sia sotto forma di gambaletto che di calza estesa alla coscia.
La calza elastica, quindi, deve essere di tipo terapeutico, cioè deve avere determinati requisiti strutturali e una particolare certificazione che garantisca le sue proprietà di compressione.

La calza non va acquistata di propria iniziativa ma va prescritta dal medico specialista dopo aver preso le misure del paziente e aver scelto il materiale più adatto, oltre che il grado di compressione.
In generale, possiamo affermare che l’utilizzo di una calza di seconda classe, nei soggetti a rischio, potrà consentire una prevenzione efficace della trombosi in aereo.

Sempre in base a queste raccomandazioni, i soggetti non a rischio non necessitano di questo presidio.

Profilassi farmacologica

In caso di rischio particolarmente elevato, per prevenire la trombosi in aereo è necessario ricorrere ai farmaci.

Gli antiaggreganti piastrinici non si sono dimostrati efficaci nella prevenzione della trombosi nei voli a lungo raggio. In un recente studio, infatti, l’assunzione di 400 mg al giorno di aspirina non si è associata a significativa riduzione del tasso di trombosi in aereo, causando invece frequenti disturbi gastro-intestinali.

L’eparina a basso peso molecolare, sotto forma di punture sottocutanee, ha mostrato invece risultati a tratti controversi.
Se è vero che l’assunzione di Enoxaparina, sotto forma di punture sottocutanee al dosaggio di 1 mg per ogni Kg di peso corporeo, è efficace nel prevenire la trombosi in aereo se somministrata da 2 a 4 ore prima della partenza, questo protocollo non può essere esteso a tutti i soggetti e ogni caso va valutato in funzione del rapporto rischio/beneficio.

Infatti, l’assunzione di questo farmaco può provocare anche problemi di sanguinamento, ed il rischio di emorragia va valutato scrupolosamente anche perché aumenta in relazione ad altri fattori clinici.

Quando è indicata, la profilassi con eparina può essere fatta al momento della partenza per l’aeroporto; il suo effetto durerà circa 24 ore e quindi sarà sufficiente per coprire l’intera durata del viaggio.

Conclusioni

In attesa di riprendere a viaggiare, conoscere il problema della trombosi in aereo potrà essere d’aiuto ai soggetti con fattori di rischio e anche alla popolazione generale, perchè con semplici accorgimenti si potrà prevenire una complicazione piuttosto seria e più frequente di ciò che si pensa.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6326126/pdf/jvb-17-03-215.pdf

https://www.ejves.com/action/showPdf?pii=S1078-5884%2805%2900541-1

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La trombosi in gravidanza è più frequente in soggetti geneticamente predisposti

Trombosi in gravidanza: tutto ciò che bisogna sapere

La comparsa di una trombosi in gravidanza è un problema da tenere certamente in considerazione quando una donna si appresta ad affrontare la gestazione.
Le donne in gravidanza, infatti, hanno un rischio cinque volte maggiore di sviluppare una trombosi rispetto alle donne non gravide, e nei paesi occidentali la trombosi in gravidanza è la principale causa di morte materna.

È importante che le donne conoscano questa patologia, che peraltro desta molta preoccupazione anche nella popolazione generale.
Infatti, conoscere la propria situazione di rischio e saper rilevare eventuali sintomi permetterà di agire rapidamente e con efficacia, qualora si verificasse il problema.

Che cos’è la trombosi in gravidanza

La trombosi in gravidanza è un processo di coagulazione improvvisa del sangue all’interno di una vena, che avviene nel periodo della gestazione.
Questa condizione clinica interessa più frequentemente le vene degli arti inferiori, sia superficiali che profonde, ma può colpire anche le vene della pelvi, cioè la parte bassa dell’addome.

Il motivo principale per cui la trombosi è pericolosa è legato alla possibilità di una embolia.
Gli emboli sono dei frammenti di sangue coagulato che si staccano dalla sede di trombosi e seguono il flusso del sangue, che li veicola prima al cuore e poi ai polmoni, dove terminano la loro corsa ostruendo i vasi della circolazione polmonare.
La comparsa di una embolia ai polmoni si manifesta con dolore al torace e difficoltà a respirare, ed è una complicanza grave che può essere anche mortale.

Il secondo fattore di pericolosità legato alla trombosi in gravidanza è il possibile sviluppo di una sindrome post trombotica.
Questa condizione clinica è caratterizzata da un gonfiore ingravescente della gamba dovuto all’esteso danneggiamento che la trombosi causa alle vene, che diventano incapaci di drenare il sangue.

La sindrome post trombotica compare con maggiore frequenza se la trombosi interessa le vene iliache o femorali, evenienza che tra l’altro è particolarmente frequente in gravidanza.
Se non trattata precocemente, la sindrome post trombotica diventa irreversibile e può causare la comparsa di fibrosi e ulcere alle gambe.

Cause della trombosi in gravidanza

Il rischio di trombosi in gravidanza è dovuto all’aumentata facilità con cui il sangue coagula all’interno delle vene.
Ci sono persone più predisposte di altre alla trombosi in quanto presentano determinati fattori di rischio, sia legati alla genetica che ad eventi patologici ambientali.
In presenza di fattori di rischio, la possibilità di sviluppare una trombosi è la stessa in tutti e tre i trimestri della gravidanza, e diventa addirittura più alta nelle prime sei settimane dopo il parto.

In generale, la trombosi all’interno di una vena si sviluppa in conseguenza di tre meccanismi:
– ristagno di sangue;
– alterazioni delle cellule della parete venosa;
– modificazioni nei componenti del sangue che attivano la coagulazione.
In gravidanza sono implementate tutte e tre queste situazioni.

Primo, durante la gravidanza si verifica un persistente ristagno del sangue nelle gambe e nella pelvi a causa dell’azione degli ormoni sessuali femminili, che riducono il tono delle vene facendo diminuire la loro attività propulsiva.
Inoltre, il progressivo ingrandimento dell’utero gravidico crea un ostacolo meccanico al ritorno di sangue al cuore, aggravando la situazione.
A causa di fattori anatomici, l’arto inferiore sinistro è più colpito da questo fenomeno, in quanto la vena iliaca sinistra passa dietro la sua arteria satellite, che la schiaccia.

Secondo, al momento del parto le vene pelviche possono subire un danneggiamento meccanico a causa della spinta espulsiva del feto, sviluppando una trombosi.
La trombosi delle vene pelviche, peraltro, è piuttosto rara al di fuori della gravidanza.

Il terzo fattore favorente la trombosi in gravidanza è il più importante. Lo sviluppo di iper-coagulabilità del sangue è dovuto alla necessità, da parte dell’organismo, di fronteggiare il rischio di emorragie legate al parto. Ricordiamo, infatti, che nei paesi sottosviluppati l’emorragia è la principale causa di morte materna.
Sotto lo stimolo ormonale, la donna in gravidanza produce una maggiore quantità di proteine della coagulazione, sviluppando di conseguenza una forte suscettibilità del sangue a coagulare.

Sintomi della trombosi in gravidanza

Se la trombosi in gravidanza interessa le vene superficiali delle gambe, i sintomi principali sono il dolore e l’arrossamento lungo il decorso della vena.
Inoltre, spesso in gravidanza compaiono delle vene varicose, a causa dell’azione ormonale e dell’ingrossamento dell’utero, ed è noto che le vene varicose sviluppano più facilmente una trombosi rispetto alle vene sane.

Una trombosi in gravidanza può essere legata alla presenza di vene varicose

Quando sono colpite le vene profonde delle gambe, invece, il rischio di embolie polmonari è statisticamente più alto.
I sintomi più comuni, in questo caso, sono il gonfiore o il dolore acuto ad una gamba, spesso presenti contemporaneamente; altre manifestazioni possono essere l’arrossamento o la difficoltà a camminare.

Come già detto, in gravidanza aumenta l’incidenza di trombosi della vena iliaca, una grossa vena della pelvi che raccoglie tutto il sangue dell’arto inferiore corrispondente convogliandolo alla vena cava inferiore, che a sua volta lo porterà al cuore.
Una trombosi iliaca può manifestarsi con dolore addominale o dorsale e con gonfiore acuto che interessa tutto l’arto; siccome questi sintomi possono essere ricondotti alla gravidanza stessa, a volte capita di non riconoscere una trombosi iliaca e ritardandone la diagnosi.
In gravidanza, infatti, le gambe tendono a gonfiarsi per l’ostruzione linfatica causata dalla crescita del feto, mentre il dolore pelvico o dorsale può essere correlato all’azione meccanica dell’utero che agisce come un peso.

Come si diagnostica una trombosi in gravidanza

Se compaiono sintomi suggestivi di trombosi in gravidanza, la prima cosa da fare è recarsi con urgenza ad effettuare un ecodoppler venoso. Questo esame, totalmente non invasivo, permette infatti di riscontrare velocemente la presenza di una eventuale trombosi.

Una trombosi in gravidanza può essere diagnosticata con l'ecodoppler

Nel caso ci sia un forte sospetto legato ai sintomi ma non sia possibile fare subito l’ecodoppler, è consigliato iniziare immediatamente la terapia anticoagulante con le punture di eparina, a meno che questo farmaco sia controindicato.
Una volta effettuato l’ecodoppler si potrà capire se il trattamento va continuato o meno, e in questo modo si eviterà di restare senza terapia nel caso in cui la trombosi fosse effettivamente in atto.

Se è presente una trombosi pelvica, l’ecodoppler venoso potrebbe non essere in grado di riscontrarla. In tal caso, la paziente dovrà eseguire una risonanza magnetica addominale con mezzo di contrasto, evitando invece la TAC, che comporterebbe una grossa dose di radiazioni per il feto.

Infine, ricordo che il dosaggio del D-Dimero nel sangue non ha molta utilità durante la gravidanza, al contrario di quanto accade in una situazione normale.
Questa molecola, infatti, è fisiologicamente aumentata durante la gestazione, perché è un frammento di degradazione di una proteina coagulativa, e al pari delle altre molecole di questa categoria viene prodotta in quantità maggiore sotto lo stimolo ormonale.

Profilassi e terapia della trombosi in gravidanza

In presenza di determinati fattori predisponenti è consigliato prevenire la trombosi in gravidanza attraverso una profilassi con terapia anticoagulante.
Quando si fa una profilassi, il dosaggio è di solito ridotto a una somministrazione al giorno, e al momento del parto, solitamente spontaneo, non viene sospesa la terapia.

In presenza di una trombosi in gravidanza, invece, è opportuna una terapia anticoagulante a dosaggio pieno, di solito mediante due somministrazioni giornaliere, in quantità dipendente dal peso.
Il parto viene generalmente programmato, in modo da sospendere la terapia anticoagulante alcuni giorni prima.

Il farmaco di prima scelta, sia per la profilassi che per la terapia, è l’eparina a basso peso molecolare, sotto forma di punture sottocutanee.
Questo farmaco è generalmente ben tollerato, ma a volte può provocare un calo delle piastrine oppure generare una risposta allergica; inoltre, essendo espulsa attraverso i reni, tende ad accumularsi eccessivamente nelle persone con problemi di insufficienza renale.

La trombosi in gravidanza viene trattata con le punture di eparina

In presenza di una controindicazione alla somministrazione di eparina, il farmaco di seconda scelta è il Fundaparinux, sempre sotto forma di punture sottocutanee; questa sostanza, che inibisce una specifica molecola della coagulazione, non avrebbe però ancora una totale evidenza di sicurezza in gravidanza, e per questo va usata in casi selezionati.

Per quanto riguarda gli anticoagulanti assunti per bocca, sappiamo che il Warfarin attraversa la placenta ed ha un noto effetto teratogeno sul feto, cioè causa la comparsa di malformazioni. Per questo motivo non può essere assunto in gravidanza.
I nuovi farmaci anticoagulanti orali, chiamati con l’acronimo DOAC’s, sembrerebbero attraversare la placenta, e al momento i potenziali rischi sul feto non sono conosciuti.

Chi è a rischio di trombosi in gravidanza

Nonostante il fisiologico aumento della coagulabilità del sangue, la maggior parte delle donne in gravidanza non necessita di profilassi, perché i rischi di emorragia supererebbero quelli di trombosi.

Ci sono, però, alcune categorie di persone maggiormente a rischio di trombosi in gravidanza; queste persone dovranno quindi effettuare la profilassi con l’eparina, in alcuni casi prima del parto (ante partum), in altri dopo il parto (post partum).
Le donne che devono fare la profilassi prima del parto devono iniziarla precocemente nel primo trimestre, in quanto, come già detto, il rischio di trombosi è lo stesso in tutti e tre i trimestri.

In generale, le donne maggiormente a rischio di trombosi in gravidanza sono quelle che hanno avuto trombosi venose in passato, oppure quelle che sono affette da alcune mutazioni genetiche che le predispongono alla trombosi.
Altri fattori di rischio sono l’età maggiore di 35 anni, la nulliparità (cioè il non avere avuto parti precedenti), l’obesità, l’immobilizzazione prolungata e il fumo di sigaretta.

Anche in presenza di alcuni auto-anticorpi, cioè anticorpi diretti contro molecole normalmente presenti nell’organismo, c’è un maggior rischio di trombosi.
Gli anticorpi maggiormente responsabili di questo fenomeno sono il Lupus Anticoagulans e gli anticorpi anti-fosfolipidi.

Nel periodo dopo il parto, i principali fattori di rischio sono ancora l’immobilizzazione prolungata, l’ipertensione gravidica oppure l’essere state sottoposte ad interventi chirurgici, come il taglio cesareo.

Chi deve fare la profilassi

La società Americana di Ematologia ha prodotto nel 2018 delle linee guida che sintetizzano le evidenze più recenti della letteratura, fornendo delle indicazioni ai medici su chi sottoporre a profilassi per prevenire la trombosi in gravidanza.
Ricordo che le linee guida forniscono dei livelli di evidenza per una data terapia e non rappresentano la verità assoluta, ma piuttosto una rotta da seguire per il medico quando deve dare indicazioni alle pazienti.

Per quanto riguarda la trombosi in gravidanza, queste linee guida ci dicono che la necessità di profilassi con l’eparina si basa sulla presenza o meno di fattori di rischio acquisiti oppure genetici; vediamoli nello specifico.

Fattori acquisiti e trombosi in gravidanza

Le donne che hanno avuto precedenti trombosi venose spontanee oppure provocate da fattori di rischio ormonali, come ad esempio l’assunzione di pillola anticoncezionale, dovrebbero sottoporsi alla profilassi prima del parto.
D’altro canto, le donne che hanno avuto precedenti trombosi ma secondarie a fattori di rischio non ormonali, non dovrebbero sottoporsi a tale profilassi.

Entrambe queste categorie di donne, cioè che hanno avuto precedenti trombosi venose, dovrebbero però sottoporsi alla profilassi post partum.

Fattori genetici e trombosi in gravidanza

Ci sono diverse mutazioni genetiche che predispongono alla trombosi venosa, e in gravidanza la percentuale di rischio aumenta ulteriormente.
Infatti, il 50% circa delle trombosi in gravidanza è legato a predisposizione genetica ereditaria.

Queste mutazioni colpiscono dei geni relativi a proteine coinvolte nella coagulazione del sangue; le forme mutate facilitano maggiormente la coagulazione del sangue rispetto alle forme normali.
Esistono forme eterozigoti, cioè con un gene sano e uno mutato, e forme omozigoti, più pericolose in quanto entrambi i geni sono mutati.

Fattore di Leiden

Rappresenta la mutazione più frequente nella popolazione europea e asiatica, e riguarda la quinta proteina della cascata coagulativa.

Forma eterozigote – non è necessaria la profilassi ante partum, indipendentemente dalla storia di trombosi all’interno della famiglia della paziente, sempre se la paziente non ha avuto precedenti trombosi.
Anche la profilassi post partum non sembrerebbe consigliata.
Forma omozigote – è consigliata la profilassi sia in gravidanza che nel post partum, indipendentemente dalla storia familiare di trombosi.

Mutazione della protrombina (G20210A)

Questa mutazione fa aumentare i livelli nel sangue di protrombina, una delle ultime proteine coinvolte nel processo coagulativo.

Forma eterozigote – indipendentemente dalla storia familiare di trombosi, non è indicata la profilassi prima e dopo il parto.
Forma omozigote – in assenza di storia familiare di trombosi non è indicata la profilassi ante partum; è generalmente indicata la profilassi post partum.

Deficit di proteina C o proteina S

Si tratta di due proteine che regolano la coagulazione del sangue, evitando che si attivi eccessivamente.
La mutazione le rende presenti in minore concentrazione del normale, favorendo quindi la coagulazione e il rischio di trombosi.

In presenza di mutazione di queste proteine, la profilassi ante partum non è indicata, mentre la profilassi post partum è indicata solo se c’è una storia familiare di trombosi.

Deficit di antitrombina III

Anche questa glicoproteina controlla la coagulazione del sangue, evitando che si attivi troppo; la mutazione la rende carente nella sua forma attiva, predisponendo alla trombosi.

In assenza di storia familiare di trombosi, non è consigliata la profilassi ante partum e post partum, mentre se la storia familiare è positiva la profilassi andrebbe fatta sia prima che dopo il parto.

Conclusioni

Le donne in gravidanza dovrebbero conoscere la trombosi in gravidanza e sapere qual è il loro livello di rischio.
In presenza di mutazioni genetiche o di fattori di rischio acquisiti, la figura di riferimento per le indicazioni sulla profilassi e la terapia dovrebbe essere l’ematologo.

Se durante la gravidanza compaiono delle vene varicose nelle gambe oppure si manifestano dolori o gonfiori, bisogna consultare un angiologo ed effettuare una visita comprensiva di ecodoppler; in questo modo si potrà conoscere la propria situazione vascolare e prevenire eventualmente una trombosi, utilizzando, ad esempio, una calza elastica adeguata.

Ancora una volta, chi è ben informato previene il problema, e lo cura più efficacemente nel caso dovesse verificarsi.

Fonti

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5778511/pdf/cdt-07-S3-S309.pdf

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6258928/pdf/advances024802CG.pdf